Venerdì, Luglio 5th/2013
– di C.Alessandro Mauceri e Sergio Basile –
Stati Uniti d’America, Usa, Putin, Segretario di Stato USA, John Kerry, biogenetica, Syngenta, Monsanto, Obama, Cremlino, neonicotinoidi, Ministero delle [...]
Giovedì, Febbraio 4th, 2016
– di Federico Michielan –
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Riflessioni fuori dal coro sui cosiddetti "diritti civili"
– Prima Parte
Oltre gli slogan a senso unico degli organi mainstream
Il matrimonio gay e la deriva prometeica che lo Stato
non può concedersi. Ecco perché…
di Federico Michielan
Oltre gli slogan a senso unico degli organi mainstream
Roma – Sui cd “diritti civili”, da anni ormai si riscontra una generale assenza di argomentazioni ragionate. Si preferiscono gli slogan, le aggressioni, le mutue offese. Ritengo, dunque, essenziale dare un contributo che vada in direzione opposta rispetto al mainstream: sono giorni che in tv si vedono solo spot a favore delle istanze delle associazioni gay, in tutte le trasmissioni, forse si salvano solo le previsioni del tempo. Cantanti, presentatori, attori, tutti si preoccupano di dire la loro, ovviamente in un’unica direzione. E’ un assedio, una lotta impari, nonostante sia intervenuto pure il Papa, che ovviamente in questi casi viene zittito in nome della laicità dagli stessi che lo esaltavano quando parlava di immigrati o di povertà.
L'uso delle parole
Uno dei mali del nostro tempo riguarda l’uso di termini al di fuori del loro contesto, travisandone e modificandone artificiosamente il significato. Nel titolo parlo di “cosiddetti” “diritti civili”. Perché “cosiddetti”? Perché l’espressione di cui sopra è una delle tante che ha perduto il significato suo proprio. I diritti civili sono quei diritti che attengono all’individuo in quanto tale, che gli appartengono in modo innato, che qualsiasi organizzazione deve riconoscergli e impedire che vengano in qualche modo mutilati. Ciascuno, quindi, indipendentemente dalle proprie caratteristiche psicofisiche e dalle proprie idee deve essere in grado di esercitare pienamente questi diritti, senza limitazioni di sorta. Esempio perfetto di quanto appena detto è l’art. 2 della Costituzione italiana, che riporto: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. In questo articolo si parla anche di doveri, concetto che tornerà più avanti.
Intorno al diritto di voto
Un esempio concreto? Il diritto di voto, nei Paesi occidentali, è universale, cioè appannaggio di tutti (escludendo i minori e gli interdetti o condannati per alcuni reati). Fino al 1945 in Italia non potevano votare le donne, mentre negli USA, fino al 1965, non potevano votare i neri! In questi casi un “diritto civile”, cioè il voto, c’era per alcuni e per altri, a motivo di alcune loro caratteristiche fisiche, no. Le donne e i neri hanno richiesto a gran voce di essere ammessi a questo diritto, e dopo decenni di battaglie sono riusciti ad ottenerlo. Quindi, ricapitolando, c’era un istituto/diritto che alcuni non potevano esercitare a motivo di una legge che lo vietava loro. Con il Voting Rights Act, ad esempio, il diritto di voto è semplicemente stato esteso alla popolazione di colore residente negli Stati Uniti.
L'unico vero obiettivo delle associazioni gay in questo momento
Se siamo tutti d’accordo con quanto detto sopra, possiamo subito capire che l’espressione “diritti civili”, applicata alle rivendicazioni delle associazioni omosessuali, non calza: vi risulta infatti che ci siano leggi che vietano a un gay, in quanto tale, di esercitare qualche diritto? Un gay non può votare? Non può essere eletto a qualche carica pubblica? Non può essere assunto da un datore di lavoro? Gli può essere violato il domicilio? Niente di tutto ciò: i diritti civili (senza virgolette) sono riconosciuti a tutti, a prescindere dall’orientamento sessuale. D’ora in poi, quindi, non parleremo più di diritti civili, ma tratteremo dell’unico vero obbiettivo del mondo gay in questo momento: il matrimonio.
Matrimonium
Ancora una volta, è opportuno ragionare sulle parole, che rivelano la natura stessa delle cose di cui andiamo a trattare. La parola “matrimonio” è deriva dal latino “matrimonium”, composta dai termini “mater” e “munus”, rispettivamente “madre” e “compito”. Si contrappone idealmente al termine “patrimonium”, composto dalle parole “pater” e “munus”, cioè “padre” e “compito”. Si comprende come nella visione romana il compito della madre è quello di generare i figli, quello del padre di sostenere economicamente la famiglia. Il fine del matrimonio è la “liberorum procreandorum causa”, cioè la procreazione, e veniva definito dai giuristi (Modestino) come
“coniunctio maris et feminae et consortium omnis vitae,
divini et humanis iuris communicatio”
cioè “unione di un uomo e una donna, consorzio di tutta la vita, comunione di diritto divino e umano”. Il matrimonio serve a dare ai figli un ambiente in cui crescere, le cure di una madre e la sicurezza economica garantitagli dal padre. E’ di “diritto divino”, cioè “naturale” (ricordo che siamo in epoca precristiana). Ovviamente in quell’epoca, ma anche in epoche successive fino a pochissimi decenni fa, erano gli uomini a lavorare o andare in guerra, le donne rimanevano in casa ed erano considerate “parte debole” della società. Ecco che si spiega l’origine di alcuni istituti peculiari che l’ordinamento si è dato e che vengono reclamati, fuori contesto, dalle associazioni omosessuali…li vedremo a suo tempo.
Un tuffo nel passato
Tornando per un attimo alla società romana, cerchiamo di chiarire un concetto, spesso travisato capziosamente da certi militanti: sicuramente le pratiche omosessuali erano viste con minore riprovazione rispetto a quanto poi sarebbe avvenuto con l’affermarsi della morale cristiana. Tuttavia mai si sarebbero sognati di dare a relazioni di natura omosessuale alcun tipo di ufficialità. Tanto meno in età greca! Basta poi leggere il greco Aristofane, o il Satyricon attribuito al romano Petronio per capire come le pratiche omosessuali fossero considerate comunque per lo meno “di serie B”, oggetto di ironie e canzonature che oggi farebbero impallidire gli alfieri del politicamente corretto.
Famiglia, Costituzione e Stato
Riprendiamo il discorso sul matrimonio partendo dalle ultime parole della definizione di Modestino: “divini et humanis iuris communicatio”. Il matrimonio è considerato quindi un istituto di diritto divino (cioè naturale) e umano. Che significa? Cos’è il diritto naturale e cosa il “diritto umano”? Per spiegarlo partiamo ancora una volta dalla Costituzione, art. 29, 1 comma:
“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia
come società naturale fondata sul matrimonio”.
Qui abbiamo chiari due concetti: la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio; lo Stato ne riconosce i diritti. Analizziamoli brevemente. La famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio. Quindi, la famiglia e il matrimonio non esistono perché li istituisce lo Stato, ma esistono prima dello Stato. E allora qual è il fondamento giuridico del matrimonio? Quale ordinamento? Quale legge? Quale diritto? Quello naturale. Anche per i romani la famiglia era una situazione di fatto, esistente in natura, cui il diritto “umano”, cioè civile, faceva discendere diritti e obblighi vedremo poi per quali motivi. La famiglia, dunque, esiste perché la natura la prevede. Esiste in tutte le società, ed esiste perché è in quell’ambito che avviene un fatto che è essenziale per la sopravvivenza delle società stesse: la filiazione.
La filiazione, lo Stato e la tutela dei soggetti più deboli
lo Stato riconosce i diritti della famiglia. Una volta appurato che esiste, che la natura (il diritto naturale) la prevede in un certo modo perché così risponde al suo scopo (la filiazione), lo Stato si inserisce per disciplinarne alcuni aspetti. Ovviamente col tempo è finito a disciplinare pressoché tutto, come spesso accade: l’ordinamento statale non tollera i “vuoti normativi”. Vuole che tutti gli aspetti della vita delle persone siano disciplinati da lui. Succede in tutti gli ambiti, anche nel matrimonio. Ciò detto, il motivo per cui gli ordinamenti intervengono su questo istituto di diritto naturale è, almeno inizialmente, uno solo: la tutela dei soggetti più deboli. Chi sono questi soggetti più deboli? Due: la moglie e i figli (minori o comunque non autosufficienti). La moglie è (era) soggetto debole perché non lavora(va) e, morto il marito, si sarebbe trovata sola e in povertà. Sui figli pare superfluo dare spiegazioni. Quindi il matrimonio assicura la stabilità di un gruppo di persone nelle quali si perpetua la vita. Due persone, maschio e femmina, si assumono vicendevolmente la responsabilità di creare un consorzio di vita in potenza perpetuo. Questa nuova formazione sociale comporterà diritti in capo ai soggetti più deboli, ma ovviamente anche una bella dose di doveri! Sono quelli che vengono elencati negli articoli del codice civile che si leggono alla fine del rito del matrimonio: 143, 144, 147.
Il matrimonio è uno stutus, non è un diritto
Giungiamo quindi a una prima conclusione, considerando quanto detto finora: il matrimonio è uno status, una situazione di fatto, naturale, giuridicamente rilevante e rilevata, ma non è mai stato considerato un “diritto”. Il matrimonio è un istituto giuridico oggi disciplinato anche dalla legge statale che ha certe caratteristiche e determinate finalità, accedervi ha senso se si hanno certe caratteristiche o determinate finalità. È questo il matrimonio! L’unione tra uomo e donna volto alla procreazione! Non può essere qualcosa di diverso! Si noti bene, inoltre: mai e poi mai nella storia si è parlato di “amore” come fondamento giuridico del matrimonio. Mai e poi mai un sentimento può essere fondamento di un istituto giuridico. Questa è un’invenzione contemporanea, avvallata ultimamente anche da qualche giurista per sostenere l’insostenibile.
La deriva prometeica che non Stato non può concedersi
Per concludere questa prima parte, è doverosa una precisazione. Abbiamo già accennato alla tendenza che ha lo Stato a normare tutto l’immaginabile. Oggi siamo in questa situazione: lo Stato ha disciplinato pressoché tutto del matrimonio e della famiglia. Di conseguenza si sente in diritto di modificarne i connotati come meglio crede. Meglio, come la maggioranza chiede. Ha istituito il divorzio, abolendo l’indissolubilità, ad esempio. Oggi lo Stato pretende addirittura di cambiare la “lex naturalis”, e di allargare il concetto di matrimonio a situazioni che naturalmente non possono esservi assimilate: l’unione di due persone dello stesso sesso. A mio avviso questa è una deriva prometeica che non è consentita a nessuna istituzione. Sarebbe come se una legge dichiarasse che l’acqua non è bagnata! (fine prima parte – continua qui – Riflessioni fuori dal coro sui cosiddetti “diritti civili” – Seconda Parte)
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Seconda Parte
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