Giacinto Auriti – Chiesa e Stato: la radice filosofica della più grande sopraffazione della Storia
Domenica, 5 novebre / 2017
– di Giacinto Auriti: ricordi e pensieri –
Redazione Quieuropa, Giacinto Auriti, L'Alternativa, Chiesa e Stato, sopraffazione storica, Roma
Giacinto Auriti – Chiesa e Stato: la radice filosofica
della più grande sopraffazione della Storia
L'equivoco del razionalismo, del diritto positivo e della "democrazia"
quali strumenti di usurpazione della legge divina,
dell'etica e della legge morale
di Giacinto Auriti / L'Alternativa n. 2 – 1° giugno 1973
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Diritto positivo: strumento creato dall'uomo
Roma, Guardiagrele (Ch) – di Giacinto Auriti – L'insufficienza logica del razionalismo che si esprime in uno Stato costituzionale come Stato di puro diritto, è fondamentalmente quella di dare una giustificazione giuridica del Diritto.
Poiché il diritto positivo è uno strumento creato dall'uomo,
esso non è mai un momento primario dello spirito,
perché ogni strumento è condizionato nelle sue caratteristiche e nella struttura
dalla scelta precedente dello scopo cui serve.
L'equivoco del razionalismo
L'equivoco del razionalismo consiste nel
pretendere di trovare nello strumento
la sua giustificazione razionale alla stessa razionalità.
Quando, infatti, il razionalismo ricusa ogni principio trascendente, riconosce il diritto all'uomo di stabilire ciò che è razionale e ciò che non lo è, autorizzando a decidere arbitrariamente fino al limite di poter confondere razionalità e pazzia e viceversa. Questo principio opera sostanzialmente nel riconoscere al potere politico il diritto di decidere, graduare e modificare il fine etico e razionale della legge.
Mentre, infatti, secondo gli schemi della scuola giusnaturalista e cristiana
il principio etico e religioso era trascendente e immutabile,
cioè sottratto alle scelte del sovrano,
sicché la distinzione fra legge giusta e legge invalida,
con lo schema razionalista e anticristiano,
il concetto di legge valida coincide con quello di legge giusta.
Costituzione: altra creatura della legge positiva
Il nostro ordinamento costituzionale, esprime questa valutazione mediante la Corte Costituzionale, che decide in concreto della legittimità della legge, in base al
semplice parametro dell'adeguamento della legge positiva
alla carta costituzionale,
che è un'altra legge positiva.
Con questo espediente si attribuisce ad ogni organo costituzionale,
indeterminato nella sua caratteristica etica ed etico-religiosa,
il potere che tradizionalmente era riconosciuto alla Chiesa Docente.
Poiché è l'art. 7 della Costituzione pone i rapporti fra Chiesa e Stato sulla base dei Patti Lateranensi, considera questi rapporti contrattuali e paritetici, mentre è fin troppo evidente che le due potestà vanno collegate funzionalmente e gerarchicamente.
E' infatti il principio etico-religioso
che deve informare l'ordinamento giuridico,
perché qualifica il fine alla legge positiva, creata dal potere politico, che deve adeguarsi come lo strumento si adegua allo scopo.
Impossibilità di rapporto paritetico-contrattuale
Ammettere la possibilità che tra potere politico e potere religioso possa instaurarsi un rapporto paritetico e contrattuale, significa ammettere che il potere religioso possa trattare con l'eticità della legge sul piano transattivo, cioè sul terreno del compromesso mediante concessioni alla controparte.
Ecco perché i rapporti tra Chiesa e Stato risentono oggi
dei vizi di origine.
La più macroscopica manifestazione di questo errore iniziale
emerge nel diritto di famiglia: es.: adulterio e divorzio.
Tecnica per desacralizzare la norma
Quando, intatti, la Corte Costituzionale ha abolito il reato di adulterio, perché essendo limitato solamente alla moglie, cascava una disparità giuridica tra i coniugi, ha basato la sua scelta solo su una premessa di diritto positivo, mentre invece se avesse accolto il principio etico-religioso avrebbe dovuto, se mai, estendere anche il marito la medesima responsabilità penale prevista per la moglie.
La capziosità del ragionamento sta qui dunque nell'aver mascherato
sotto la parvenza di una mera giustificazione di tecnica giuridica
la sostanza di modificare il criterio etico informatore dell'ordinamento positivo,
e si è così completamente desacralizzata la norma.
Situazione analoga si presenta al divorzio, che è chiaramente incompatibile con l'insegnamento etico-religioso cristiano. Va da sé che siccome le diverse religioni conseguono fini etici differenti e quindi fra loro incompatibili, questi scopi non possono essere perseguiti contestualmente dal medesimo ordinamento. Ove si accettasse, infatti, il principio dell'indifferenza della scelta etico-religiosa rispetto all'ordinamento giuridico, così com'è previsto dell'art. 3 della Costituzione, si dovrebbe ritenere incostituzionale, per esempio, anche l'art. 556 c.p. che che contempla il reato di bigamia. Poiché ci sono religioni che riconoscono perfettamente morale la poligamia e poiché lo stesso art. 3 sancisce le pari dignità ed uguaglianza di tutte le religioni davanti alla legge, se taluno è musulmano e cittadino italiano, viene ad essere perseguito penalmente per un diritto che solamente gli viene riconosciuto dalla Costituzione. Senza dire che nella libertà religiosa dovrebbe essere compresa anche la scelta atea e allora dovrebbero trovare riconoscimento giuridico anche i conglomerati tribali dei beat con le loro comuni basate sul sesso e sulla mancanza di ogni legame giuridico, la cui vera espressione è una sorta di allevamento animale. E allora perché non giustificare il matrimonio tra pederasti?
Distruzione sostanziale di ogni principio etico
Ci si accorge così che sotto l'apparenza della libertà religiosa
si maschera la sostanza sia della distruzione di ogni sostanziale principio etico,
sia del relativismo morale che s'inserisce nella strategia
per l'instaurazione di una nuova religione (mondialismo – Ndr).
Usurpazione sulla potestà della legge morale
Quest'arbitrio è una strategia culturale di dominazione,
perché quando il potere politico si arroga la potestà di stabilire l'eticità dell'ordinamento,
usurpa anche le prerogative della Divinità.
La partecipazione dell'uomo alla natura divina non è più aspirazione alla perfezione intesa come rispetto della legge data dalla Divinità, ma come atto di superbia, cioè come usurpazione della potestà dì creare la stessa legge morale.
In questo momento il potere partecipa del peccato di Lucifero,
diventa maledetto e diabolico.
Pretendere di valutare i rapporti tra Stato e Chiesa sulla base dei normali rapporti tra Stati, significa pretendere di limitare ad un ambito territoriale un principio etico religioso che per sua natura non ha confini, ed incapsulare in un involucro territoriale e giuridico un principio per sua natura universale.
L'espediente per la chiusura nel ghetto territoriale
Ci si accorge allora che il raffinato espediente delle scuole razionaliste di equivocare tra concetti di Stato Città del Vaticano e di Santa Sede, mira di fatto allo scopo di limitare la competenza della Chiesa a giudicare dell'eticità della legge solamente nell'ambito dello stato Città del Vaticano, e ciò con la
conseguenza di ritenere illegittimo
ogni intervento della Chiesa nel terreno legislativo,
giudicando questo intervento come interferenza di un'autorità straniera:
cioè come contesto di diritto internazionale.
E' chiaro allora che, sotto la pretesa di riconoscere alla Santa Sede un'autorità territoriale, si è conseguito lo scopo di rinchiudere l'universalità della Chiesa in un ghetto territoriale, equivoco questo commesso anche delle scuole del potere temporale dei Papi. Il concetto di libera Chiesa in libero Stato è inteso oggi come Chiesa al di fuori dello Stato e dalla posizione del contesto organico tra Chiesa e Stato. Allora i popoli non incontrano più nella loro via la verità, della Fede e la Chiesa non ha più popoli su cui diffondere il suo magistero.
Servizio: legittimazione del potere
L'interesse dunque che spinge il potere politico a questa scelta
è di svincolare da ogni controllo etico il proprio comportamento.
Mentre Cristo insegna che la giustificazione del comando è servizio, negando questo principio si consente al potere politico di invertire i termini e il comando diventa strumento al servizio di chi lo detiene.
Non è allora lo Stato a servire i cittadini, ma i cittadini a servire lo Stato,
per scopi egoistici dei governanti mascherati e spacciati come scopi etici.
Nel momento stesso in cui il potere politico si arroga la competenza etica è giocoforza che la Chiesa perda la facoltà di intervenire nel giudizio sull'eticità delle leggi.
E questo è il risultato, in ultima analisi,
del trasferimento della competenza etica del Sommo Pontefice e del sacro Collegio
alla Corte Costituzionale.
L'arbitrio umano non può modificare le leggi di Dio
La spinta rivoluzionaria che oggi esplode in tutto il mondo contro siffatti ordinamenti
è l'espressione più piena del sentimento che
l'arbitrio degli uomini non può spingersi a modificare le leggi di Dio.
Le teorie di non intervento dell'Autorità Ecclesiastica nelle scelte di politica legislativa hanno creato in Essa un complesso d'inferiorità di cui è il tempo che si liberi. E' tempo che la Chiesa assuma la consapevolezza della propria forza, ritrovi quella della propria missione e si erga a condannare con fermezza gli errori di queste imposizioni culturali. Questo atteggiamento potrà non piacere agli uomini politici, ai legislatori ed ad alcuni cardinali d'Olanda (era il 1973 – Ndr) ma ciò che i popoli sicuramente vogliono e che è testimonianza di verità.
Maggioranza non è giustizia!
Quando il Pastore abbandona il proprio gregge,
all'umanità non resta altro che l'abominio della desolazione,
perché gli uomini sentono che la legge scritta senza il sostegno del Verbo
non ha la caratteristica della giustizia.
Né ci si venga a dire che questa conclusione urta con i principi della democrazia.
Il principio della maggioranza
non decide con quello della giustizia,
perché una legge è giusta per certe qualità essenziali
a prescindere dal numero delle persone che l'hanno voluta
e dalle valutazioni che possa dare una suprema corte.
E' tempo che il Magistero della Chiesa torni a condannare e scomunicare,
come nel passato, governanti o uomini politici che si oppongono
contro le leggi di Dio.
Giacinto Auriti / L'Alternativa n. 8 – 15 novembre 1973
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