Venerdì, 22 giugno / 2018
– di Matteo Mazzariol / Presidente Movimento Distributista Italiano –
con integrazioni e note a cura di Sergio Basile
Redazione Quieuropa, Matteo Mazzariol, Distributismo, Divisione tra capitale e lavoro, proprietà
Libertà socio-economica: moneta-proprietà e
unione capitale-lavoro
L'allargamento della proprietà a tutti e il benessere reale secondo
la prospettiva cattolica e distributista
di Matteo Mazzariol / Presidente Movimento Distributista Italiano
con integrazioni e note a cura di Sergio Basile
L'interesse per il bene comune
Roma – di Matteo Mazzariol / Presidente Movimento Distributista Italiano – La percezione comune, fino al recente avvento del governo giallo-verde Lega-5Stelle, era che la politica fosse incapace di difendere gli interessi della gente. Le prime uscite dei nuovi governanti – Di Maio al Ministero del Lavoro e, soprattutto, Salvini al Ministero dell’Interno – hanno dato l’impressione che forse si, è davvero possibile, se si vuole, cambiare pagina. Vedremo come la cosa procederà. Una precisazione comunque va fatta fin dall’inizio:
cosa vuol dire concretamente fare gli interessi della gente oggi?
Si possono infatti enunciare una serie di piani e progetti mirabolanti, più o meno realizzabili, magari anche diversi e contrastanti tra di loro, e poi dire che questi si, effettivamente, sono tutti in favore della gente. Si può dire che il taglio delle tasse, la diminuzione del debito pubblico e privato, la fine della disoccupazione e il rilancio dell’occupazione, l’aiuto alle piccole imprese, il sostegno all’agricoltura e all’artigianato, l’adeguato finanziamento dei servizi pubblici, lo sviluppo delle infrastrutture, la diminuzione del prezzo della benzina siano tutte cose in favore della gente ma, se si volesse ridurre all’essenziale, qual è in fondo il minimo comune denominatore, la direzione di marcia, la meta ultima a cui bisogna puntare per fare effettivamente e non solo sulla carta l’interesse della gente?
L'allargamento della proprietà
Il senso comune da questo punto non lascia adito a dubbi: se vogliamo puntare davvero al bene comune, cioè alla massima possibile diffusione di un benessere stabile e solido, non abbiamo alternativa, dobbiamo puntare alla massima possibile diffusione della proprietà produttiva (vedi Dottrina Sociale della Chiesa), cioè, in altre parole, all’unione di capitale e lavoro, a far si cioè che quante più persone possibili siano messe nella condizione di diventare o continuare ad essere proprietari dei mezzi di produzione. Solo la proprietà dei mezzi di produzione – che passa in sostanza per la proprietà popolare dello strumento monetario – Ndr) garantisce infatti la vera libertà, quella di essere padrone a tutti gli effetti del proprio lavoro e quindi, insieme alle relative responsabilità, anche dei frutti che da esso derivano.
Solo il possesso dei mezzi di produzione (e della moneta – Ndr)
dà la continuità e stabilità lavorativa necessaria a trasformare il lavoro,
da mezzo di alienazione e sfruttamento,
in strumento di realizzazione della persona umana.
Solo il possesso dei mezzi di produzione consente al singolo di investire nella propria attività tutto se stesso, tutte le proprie capacità e risorse professionali, invece che limitare il proprio contributo alle esigenze ed ai dettami di altri, molto spesso secondo logiche che seguono solo il guadagno facile ed immediato e perdono di vista l’aspetto umano del lavoro. Solo il possesso dei mezzi di produzione assicura un giusto guadagno e quanto più questo sarà diffuso tanto più ci saranno persone e famiglie in grado di spendere e sostenere la domanda interna e quindi il benessere generale.
E' ovvio come tale prerogativa sia strettamente connessa
alla realizzazione di un regime di proprietà popolare della moneta
e come, al contrario, in un regime di usura legalizzata
caratterizzato dallo strapotere delle banche centrali e del sistema bancario
(detentori della moneta-debito, origine di ogni fenomeno di usura)
il pieno e reale possesso dei mezzi di produzione
sia invero una mera utopia.
E' questo il messaggio centrale della Dottrina Sociale della Chiesa,
ripreso con forza, tra l'altro, dagli studi e dalle scoperte di personaggi del calibro
di Leone XIII, Giacinto Auriti e Gilbert Keith Chesterton (vedi foto)
(Ndr)
Riduzione in stato servile
L’unità tra capitale e lavoro, perseguita con fermezza, perseveranza e costanza, a tutti i livelli legislativi ed istituzionali, è quella direzione di marcia in grado di garantire che il bene comune possa prevalere sugli interessi di minoranze molto agguerrite e furbe, che, molto spesso con l’inganno monetario e della finanza, tentato di prevalere sul corpo sociale, prelevandone come sanguisughe parassitarie risorse e ricchezze. L’unione tra capitale e lavoro aleggia implicitamente in tutte le politiche economiche che parlano di sostegno alla famiglia, alla piccola impresa, agli artigiani, agli agricoltori, ai professionisti, a quelle categorie produttive diffuse e capillari che da sempre hanno costituito e costituiscono tuttora la spina dorsale della nostra economia. Purtroppo però tali politiche economiche negli ultimi 70 anni sono state qualche volta predicate ma mai veramente attuate perché alla fine il grande capitale, sia esso industriale o finanziario, è sempre riuscito, infiltrandosi all’interno dello Stato, dei partiti con le persuasive armi del denaro e delle tristemente famose bustarelle, facendo prevalere i propri interessi su quelli, appunto, della gente. Questo spiega perché oggi la maggior parte delle ricchezze, invece che essere equamente distribuite, siano concentrare nelle mani dell’1% della popolazione:
fenomeno che assieme alla piaga ferenatizia del signoraggio bancario,
determina un insanabile stato di disparità sociale a livello globale,
in favore dell'interesse privatistico delle élite bancarie e finanziarie al potere,
cui obiettivo non è soltanto la ricchezza e la garanzia di un tornaconto personale perenne,
quanto la riduzione in stato servile del resto dell'umanità
(Ndr).
Capitale, lavoro, moneta
D'altra parte è vero sostenere che oggi la distinzione tra destra e sinistra è superata, perché la questione centrale di cui stiamo parlando è trasversale a destra e sinistra: l’alleanza plateale tra grande capitale e grande Stato di sinistra da una parte – basti pensare al fatto che tutti gli ultimi presidenti del Partito Democratico frequentavano senza dubbio di più i salotti dell’alta finanza che non le fabbriche – e dall’altra la presenza di esponenti capitalisti, liberisti ed ultra-liberisti nel centro-destra, fanno di questi due schieramenti una falsa opposizione, od una opposizione di facciata, quella famosa
falsa alternanza di gattopardiana memoria,
studiata ad arte per fingere di cambiare tutto ed in realtà non cambiare nulla.
Il problema è che, in questa fase storica, una politica economica basata sulla massima diffusione della proprietà produttiva rimane a livello implicito. L’opinione pubblica ne ha una consapevolezza vaga ed incerta. Il termine sovranismo in questo senso è del tutto insufficiente (per non dire ambiguo – Ndr) in quanto non specifica, una volta superato il globalismo, chi debba essere sovrano di che cosa ed in che modo. E’ un primo passo, che però non ci assicura di progredire sulla strada giusta. Il passo da fare invece è molto più semplice: semplicemente trasformare ciò che è implicito in esplicito, dire a chiare lettere che il fattore centrale e trainante di ogni politica economica deve e non può altro che essere l’unione di capitale e lavoro, appunto la massima diffusione della proprietà produttiva connessa alla reale proprietà popolare dello strumento monetario. Questa è una delle ragioni principali che per cui il distributismo, e il Movimento Distributista Italiano che lo sostiene, possono avere oggi un ruolo importante per i destini della nostra nazione, al fine di trasformare il bene comune dalla potenza all’atto.
Matteo Mazzariol / Presidente Movimento Distributista Italiano
con integrazioni e note a cura di Sergio Basile (Copyright © 2018 Qui Europa)
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