Crisi – Le colpe dei “profeti” del Liberismo
Mercoledì, Aprile 18th / 2012
– EDITORIALE di Franco de Domenico e Sergio Basile –
Europa / Spd / Sigmar Gabriel / Liberismo / Liberalismo / Austerità / John Locke / Oscar Giannino / Bruno Leoni / Ibl / Gaetano Mosca / Giovanni Agnelli / Luigi Einaudi / Bruno Leoni / Mario Pannunzio / Giovanni Malagodi / Gianfranco Miglio / Governo Ciampi / Giuliano Amato / Romano Prodi / Massimo D'alema / Porter / Bastiat / Spooner / Rothbard / Woods / Block / Hoppe / Mario Monti / Ronald Reagan / Mario Draghi / Suicidi / Lavoratori scoraggiati / Recessione / Mercatismo / Dominio della Finanza / Democrazia al laccio / Laissez Faire / Amartya Sen / Nobel / Impossibilità del rispetto contemporaneo dell'efficienza paretiana e del liberismo / Golden Share / IRI / Telecom / Britannia / Regina d'Inghilterra / Sergio Basile / Franco De Domenico
Crisi e teologi del "laissez-faire"
Una crisi figlia del liberismo
Berlino – Sigmar Gabriel, segretario del Spd, dalle colonne dell’Unità ha ammonito contro l’austerità attuale, nuova faccia del liberismo che ci ha portato alla crisi. Così, secondo l’analisi del politico tedesco, i “teologi” dell’economia liberista, che proclamavano dogmi di fede, per quasi trent’anni hanno raccontato che solo la libertà dei mercati avrebbe reso possibile il progresso della società: ma il crollo dei mercati del 2009 li ha fermati. Ora è Angela Merkel, naturalmente, nel mirino dell’esponente socialdemocratico: la Cancelliera dice che quello di cui si discute oggi è di «democrazie adeguate al mercato», così, dice Gabriel, “si smaschera da sola e mostra come lei, e i suoi colleghi conservatori, continuino a non cogliere la profondità del cambiamento.
L'Europa agli Europei
Gabriel ha l’ambizione di proporre un riformismo economico che guardi al bene dei cittadini, allo sviluppo dei ceti sociali, non solo al bilancio degli Stati. La sinistra europea lo sta ripetendo spesso, e le sue ammonizioni suonano addirittura in rima con quelle della Chiesa: l’uomo non è solo l’economia, solo un profitto da far valere, ma ha una serie di valori da non perdere, anzi da valorizzare per il futuro. E Gabriel ha invocato per l’Europa un ruolo non più solo di potentato economico, di controllo degli affari, ma di unione politica e storica: l’Europa agli europei.
Stanchi, traditi e scoraggiati
Intanto mentre gli adoratori del “dio-mercato” oggi guidati dal bocconiano professor Monti (che nelle scorse ore è tornato a puntare il dito sulla “burocrazia statale” quale concausa della de-crescita recessiva) continuano a ignorare la situazione di drammatica precarietà sociale; mentre in Italia aumentano i lavoratori inattivi (circa 200.000 giovani che hanno deciso di rinunciare a cercare un lavoro solo negli ultimi due mesi: 3 milioni in totale sono ad oggi i cosiddeti inattivi che non entrano nelle statistiche ufficiali Istat della disoccupazione) e mentre in Italia i suicidi aumentano all’apocalittica ed emergenziale cifra di 17.000 unità (record storico mai raggiunto prima) nel Paese cresce a macchia d’olio (tra la completa, strana ed anomala ignoranza di alcuni media nazionali) la reale consapevolezza circa il totale fallimento di quelle politiche liberiste, fatte di tagli al welfare e pareggi di bilancio (sigillati con l’assurdo fiscal compact dal Consiglio Ue su contributo dello stesso Monti), che stanno mettendo in crisi persino le gloriose fondamenta democratiche dell’intero Occidente. Un vero e proprio esercito popolare critico, stanco e sofferente, che però è di fatto, ad oggi, orfano di qualsiasi riferimento politico-partitico in grado di recepirne le trepidanti e disperate istanze di equità e giustizia. Un popolo costretto ad adorare un dio minore che non ci appartiene, noto come “mercato”.
Un gioco assurdo ed irrazionale
Intanto il professor Monti ed i suoi affezionati colleghi tecnocrati, continuano ad avere pieno appoggio da tutti i leader dei principali partiti (Bersani, Casini e Alfano) ignorando la stragrande maggioranza degli Italiani, in un gioco assurdo che non ha più nulla di razionale: quasi come se d’un colpo l’Italia, dopo aver festeggiato con una infinita, sfibrante e pomposa carrellata di eventi il suo 150° compleanno, si ritrovi nell’angolo della storia a raccogliere i cocci di uno stato sovrano frantumato in mille pezzi, ed in soli pochi mesi. Assurdo!
Il dominio della Finanza – Democrazia al laccio
Negli ultimi mesi l’Europa tutta, ed in particolare i “Poveri Piigs” (ci chiamano anche maiali) Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna a uqlcosa questa crisi indotta sarà servita: se non altro a far comprendere chiaramente a tutto il mondo e con estrema eloquenza, come il modello turbocapitalista, mercatista e liberista sia definitivamente entrato in crisi, mostrando il suo volto nero e truce. E’ l’immagine impietosa della democrazia al guinzaglio del mercato, e dello stesso mercato al guinzaglio della peggior finanza speculativa, verso il quale la politica italiana non si decide a prendere le distanze, cullandosi in mediocri e frivole ambizioni, e nascondendosi impietosamente e paradossalmente dietro il dito dello spread. Ma cosa c’è sotto? Qualcosa di sicuro! E la storia che ce lo dirà!
Partiti malati di “Montismo”
Per ora il paradigma liberista continua a tenere in ostaggio anche partiti “almeno esteriormente” progressisti come il Pd di Bersani, o il Cdu di un “democtatico” Casini (ex-democratico cristiano!?): tutti comunque afflitti da una forma incurabile e grave di montismo. Malattia che attacca gli apparati respiratori dello Stato Sociale, portandolo – a quanto pare con estrema chiarezza – lentamente alla morte.
Ci avevano avvisato – La “sterile politica” torni a studiare!
I limiti dell’attuale sistema liberista erano stati già ampliamente testati, d’altra parte, già negli Usa degli Anni ’80 – solo per fare uno tra gli esempi più emblematici – durante la celeberrima “Raganomics” del “presidente-attore” o “attore-presidente” Ronald Reagan: fautore ed artefice di enormi tagli sociali e di un discutibilissimo processo di redistribuzione economica e finanziaria, che a distanza di anni spostò di fatto la gran parte della ricchezza degli Usa nelle mani di circoscritte élite rappresentanti del 2% della popolazione statunitense. La stessa ricetta uscita dai college universitari Usa, cari al nostro professor Mario Monti. Tra le tante infinite critiche al modello sotto accusa piovute in tempi non sospetti da molti economisti e Nobel di fama internazionale, riteniamo opportuno porre all’attenzione del lettore l’analisi dell’economista Amartya Sen, il quale avrebbe dimostrato (aggiudicandosi un Nobel) l'impossibilità del rispetto contemporaneo dell'efficienza paretiana e del liberismo: mandando in frantumi uno dei baluardi teorici dei liberisti e degli stessi esponenti del turbocapitalismo o “anarco-capitalismo” (termine che in sé già dice tutto) tra i quali Rothbard, Woods, Block, Hoppe, Spooner, Bastiat e l’italiano Bruno Leoni (da cui prende ispirazione l’omonimo istituto IBL, che – una curiosità – annovera tra i suoi sostenitori, tra l’altro, il noto giornalista Oscar Giannino: nel 2011 presidente di uno dei comitati per il No ai due referendum sui servizi pubblici e sulla tariffa del servizio idrico del 12 e 13 giugno 2011; attualmente – tra l’altro – membro del comitato scientifico della Fondazione Italia USA, Senior Fellow dell'Istituto Bruno Leoni, editorialista per diversi quotidiani e settimanali nazionali, nonché per Radio24).
Critiche – L’Interesse a colludere
Tra le principali critiche mosse al sistema liberale, e più in particolare al liberismo economico – incentrato come noto sul predominio del laissez-faire e del “culto al mercato” – vi è senz’altro quella teorizzata da dozzine di economisti, politologi, filosofi e sociologi (tra i quali il grande ed indimenticato Norberto Bobbio) del pericoloso e plausibile “interesse a colludere” del settore privato. È scientificamente dimostrato, infatti, che le imprese hanno interesse e propensione a colludere. Ne è prova il fatto che il profitto del monopolista – come noto – si colloca più in alto del duopolio, seguito dall'oligopolio e dalla concorrenza monopolistica, mentre la concorrenza è associata ai profitti più bassi. Ora, secondo voi, quale impresa o multinazionale che sia è naturalmente protesa ad operare con il fine dell’ottenimento di profitti minori? Semplice! Nessuna! D’altra parte lo stesso Porter – nel suo modello delle “5 forze competitive” – afferma che “l'asprezza della competizione è data dal numero di concorrenti ed è collegata ad una contrazione dei profitti”. E ovvio che se l'impresa tende a ottimizzare il profitto, tenderà naturalmente ad un comportamento anticoncorrenziale, volto cioè a ridimensionare il numero di concorrenti sul mercato, e – qualora fosse possibile – ad arrivare ad una situazione di controllo, mediante il monopolio. “Se questo non le è possibile – ci insegna Porter – la collusione di prezzo e quantità prodotta, garantisce un profitto maggiore del libero mercato, anche fra un numero elevato di imprese”. E’ il caso di ciò che avviene nei ben noti “cartelli”(vedi compagnie petrolifere o energetiche) ed in regime di concorrenza perfetta: regime incentrato su due ipotesi: la razionalità e la simmetria informativa. Entrambi questi fattori garantiscono – spesso e volentieri – che i produttori, anche se numerosi, non abbiano particolari difficoltà a conoscere i prezzi dei concorrenti e a colludere, allineandosi con quello più alto presente sul mercato: basta guardare quotidianamente la pagina economica di un Tg per capirlo e giungere a siffatte osservazioni.
Il muro capitalistico dopo il “Muro di Berlino”
Il disegno liberista in Europa ha subito una netta impennata a partire dal 1989, cioè a partire dalla caduta del muro di Berlino: anni nei quali andò diffondendosi a partire dai college universitari Usa di maggior prestigio – Come Yale – il “mito” mai dimostrato che le liberalizzazioni e privatizzazioni avrebbero favorito ed avvantaggiato l’economia dei consumatori, grazie alla discesa dei prezzi provocata dalla concorrenza.
Italia – L’esercito liberista in azione: privatizzazioni selvagge
La parola liberismo, indicante un preciso sistema economico, in Italia fu usata per primo dal politologo Giovanni Sartori che tipizzò – suo malgrado – gli esponenti della teoria economico di spicco nel nostro Paese, tra i quali ricordiamo: Gaetano Mosca (1858 – 1941: politico e filosofo sostenitore di un liberismo moderato); Giovanni Agnelli (1866-1945: imprenditore industriale); Luigi Einaudi (1874 – 1961: secondo Presidente della Repubblica Italiana, dal 1948 al 1955); Bruno Leoni (1913 – 1967: filosofo del diritto ed editorialista, apprezzato e noto soprattutto negli Stati Uniti); Mario Pannunzio (1910 – 1968: giornalista e politico); Giovanni Malagodi (1904 – 1991: economista e politico); Gianfranco Miglio (1918 – 2001: giurista, politologo, politico, sostenitore di idee liberali e federaliste). Seguendo la scia degli insegnamenti dei padri del liberalismo italiano, fin dai primi anni Novanta – anche nel nostro Paese con i governi Ciampi, Amato, Prodi, D’Alema, ecc.. – si privatizzarono e liberalizzarono – anche con contributo di governi di sinistra o pseudo-tali – molti settori cosiddetti "a domanda rigida". Mercati nei quali è l'offerta che fa il prezzo mentre la domanda subisce il prezzo, comportando smisurati guadagni per gli offerenti e grandi disagi per il resto della collettività. Si pensi ad esempio al settore dell’energia o alla stessa privatizzazione della Banca d’Italia in seguito all’approvazionde della Legge Carli-Amato: mossa che di fatto spossessò definitivamente gli Italiani della loro sovranità monetaria, regalando Bankitalia nelle mani dei grandi gruppi bancari nazionali, come Intesa ed Unicredit. Nell’occasione appena il 4% dell’Istituto fu lasciato nelle mani dello Stato, mediante partecipazioni Inps. Ma lo sfacelo delle liberalizzazioni – accelerato sul famoso meeting avvenuto al largo di Civitavecchia, sul panfilo “Britannia” della Regina d’Inghilterra: alla presenza del gota ristretto della politica e dell’economia italiana, tra i quali l’attuale capo della Bce, Mario Draghi – andò avanti anche in altri settori strategici a cosiddetta domanda rigida. Alcuni esempi: la liberalizzazione del prezzo della benzina; la liberalizzazione delle assicurazioni per responsabilità civile; la liberalizzazione del sistema bancario; la privatizzazione dell'energia elettrica (con suddivisione tra produzione e distribuzione); la privatizzazione delle infrastrutture, autostrade in primis (queste ultime dominate, in Italia, dalla famiglia Benetton). Ciò con le conseguenze e gli spropositati rincari che sono sotto il naso di tutti. Ma di montismo, evidentemente, soffrivano – ancor prima che il male fosse tipizzato – anche altri uomini di “sinistra” della cosiddetta Prima Repubblica come l’ex comunista Massimo D'Alema e l’uomo della sinistra moderata Romano Prodi. Il primo artefice e responsabile della scalata di un gruppo ex pubblico come Telecom Italia (per la quale non si ritenne opportuno far uso della golden share statale, allora a disposizione del ministero del Tesoro: strumento democratico che sarebbe dovuto servire ad evitare lo smantellamento di un colosso d’interesse pubblico come Telecom, nelle mani di privati.); il secondo distintosi per lo zelo in colossali e discusse opere di liberalizzazione e privatizzazione, che coinvolsero come noto, anche l’IRI.
Franco De Domenico, Sergio Basile (Copyright © 2012 Qui Europa)
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