Djokovic: Re di Wimbledon con il crocifisso al collo

Lunedì, 16 luglio / 2018

 di Sergio Basile – 

 Redazione Quieuropa, Novak Djokovic, Wimbledon,  Serbia,  crocefisso, Bombardamenti NATO       

Djokovic: Re di Wimbledon con il crocifisso al collo  

Storia di grande sofferenza e risurrezione di un credente

 

di Sergio Basile

Djokovic re di Wimbledon con il crocifisso al collo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Re di Wimbledon con il crocifisso al collo           

Londra – di Sergio Basile Novak Djokovic è tornato! Dopo due anni di infortuni e sconfitte ha espugnato Wimbledon, il tempio mondiale del tennis. Il serbo ha vinto il torneo più prestigioso del Grande Slam per la quarta volta in carriera, portandosi a una sola lunghezza da Borg (5 vittorie consecutive); a quattro da re Roger Federer (8 vittorie). E' questo il verdetto della 132esima edizione dei Championships, sancito dopo un match dominato da Nole in due ore e 19 minuti (6-2 6-2 7-6). Il sudafricano Kevin Anderson, il co-finalista sconfitto, reduce da due estenuanti incontri contro Federer e Isner, dal canto suo è parso non al top della condizione; d'altra parte lo stesso Djokovic era stato costretto ad una durissima prova contro il coriaceo Rafa Nadal e ad un recupero forzato (per sospensione del match di venerdì sera) fissato a sole poche ore dalla finale, chiudendo l'ardua pratica al 5° set (10-8). Ma la notizia del giorno, più che la vittoria in sé dello sportivo Novak Djokovic è la resurrezione di un uomo dalla carriera gloriosa ma che in molti davano ormai per spacciato, non più all'altezza dei palcoscenici internazionali del grande tennis, dopo le ultime dolorose prove di un biennio da dimenticare.

                             "Oggi è facile parlare degli ultimi due anni.

              Quello che ho imparato è che devo sempre credere in me stesso,

                                        nel processo che si sta seguendo.

           Non sono stati anni facili, ho dovuto affrontare un brutto infortunio

                                             e un'operazione chirurgica.

      In tanti momenti ho dubitato, non sapevo se sarei tornato a questi livelli.

     E' bello esserci riuscito qui (…) Questo stadio è un posto sacro per il tennis.

                          Ho avuto il privilegio di giocare cinque finali qui,

                    ma questa – con mio figlio che mi guarda dalla tribuna –

                                  mi rende particolarmente orgoglioso".

                                                ( Novak Djokovic )

 Un serbatoio inesauribile                                         

Certo Novak, dopo i gravi episodi che hanno condizionato gli ultimi anni della sua vita e del suo percorso sportivo, avrà trovato energie misteriose anche e soprattutto attingendo a quell'inesauribile serbatorio di valori umani, morali e religiosi che fanno la differenza nei momenti difficili di un uomo; nei travagli dell'anima che ha la tenacia di perseguirli e difenderli fino in fondo, contro ogni conformismo e prova. Di recente era stato lo stesso campione a rivelarlo: intervistato da Matthew Syed per The Times Magazine, aveva svelato il segreto della sua ripresa dai momenti bui e della sua forza: una vita regolare, allenamento serio, una dieta rigorosa e la fede in Dio. Il serbo ha raccontato della sua dura infanzia sotto i bombardameti, della maturazione come tennista e della paternità, dimostrado – lavoro a parte – una consapevolezza piena su questioni determinanti per la vita di un uomo, specie in tempi come quelli attuali di mistificazioni, falsi idoli e caos morale. La fede in Gesù Cristo, dunque, nei momenti di prova e gioia, è stato il faro di orientamento perenne che ha accompagnato la sua esistenza, dagli orrori della guerra agli infortuni, dal matrimonio con Jelena alla nascita dei suoi figli Stefan e Tara.

            “Sono sopravvissuto a una guerra.. sono diventato padre..

                     Credo in Dio… Porto sempre un crocifisso al collo!

                                              Quanto alla politica..

                          destra e sinistra sono categorie superate,

            che rappresentano un vecchio modo di guardare alle cose”.

                                              ( Novak Djokovic )

 "Pensavo di morire!"                                              

La croce per il cristiano è ragione di sofferenza e di resurrezione, e il "ragazzo Novak", non ha avuto per nulla un'infanzia facile: ha vissuto sulla propria pelle la tragedia dell'ex-Yugoslavia e dei bombardamenti della NATO. Da bambino, passò 78 notti in un rifugio, mentre le bombe esplodevano tutt’attorno. Nell'intervista al The Times Magazine ha raccontato, in particolare, quando un F-117 volò sopra di lui, per colpire un obiettivo militare poco distante.

                                In quell'istante pensò di morire.

Dalla tragedia, non solo Nole, ma anche la Serbia sono diventati più forti e disillusi, comprendendo l'importanza della famiglia e della difesa dei sacri valori di sempre: valori sintetizzati in un gesto semplice ma significativo, in una croce appesa al collo.

  Un gesto semplice e rivoluzionario                     

                 E' questo il segreto più intimo del suo successo:

      oltre al formidabile sostegno della famiglia e della sua Jelena,

          quel crocifisso al collo che Novak porta sempre con se,

               anche sui campi da gioco, tra un servizio e l'altro,

           tra un rovescio in back e un potente dritto lungolinea.

Allora la storia del riscatto di un uomo (del tennista con la risposta più potente del circuito) assume un senso tutto particolare che eleva lo spirito, anche in un mondo apparentemente dorato, illusorio e "sospeso" come quello dello sport d'élite: dalla sofferenza si può rinascere con l'arma dello spirito! Anzi si può risorgere! Grazie Novak per avercelo ricordato con semplicità e bentornato!

Sergio Basile (Copyright © 2018 Qui Europa)

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