Domenica, 25 giugno / 2017
– di Don Curzio Nitoglia / introduzione di Antonio De Angelis
Giovedì, 28 giugno / 2018
– di Don Luigi Villa –
tratto da "Comunione sulla mano? No! E' sacrilegio!" / Civiltà Ed., Brescia
Redazione Quieuropa, Gesù Cristo, Don Luigi Villa, comunione sulla mamo, sacrilegio, dottrina
Comunione sulla mano? Assolutamente No!
Solo i sacerdoti possono toccare direttamente il Corpo di Cristo:
la Santa Comunione sulla mano è un'usanza contraria alla
tradizione apostolica ed è un retaggio della tradizione
eretica e massonico-protestante
«Il Corpo di Cristo appartiene ai sacerdoti…
Esso non sia toccato da nessuno che non sia consacrato…
eccetto in casi di etrema necessità».
(San Tommaso d’Aquino)
di Don Luigi Villa
tratto da "Comunione sulla mano? No! E' sacrilegio!" / Civiltà Ed., Brescia
Un problema soprattutto teologico
Roma – di Don Luigi Villa – L’Anno Domini 1969 – 29 maggio – in cui Paolo VI autorizzava l’Episcopato Italiano a concedere il permesso di dare la “Comunione sulla mano”, ci ha profondamente sconcertati perché noi l’abbiamo visto come un nuovo colpo d’accetta sul tronco della Tradizione Apostolica, e un nuovo processo di auto-demolizione della Tradizione della Chiesa cattolica. Sì, perché dare la “Comunione sulla mano” non è solo un problema liturgico, ma è anche, e principalmente, un problema teologico, proprio perché nell’Eucarestia si concentra tutto il dogma della nostra religione cattolica.
Quindi, chi “profana” l’Eucarestia commette “sacrilegio”, colpisce il sacerdozio di Cristo,
ne rifiuta, implicitamente, la sua Passione espiatrice e redentrice,
demolisce e distrugge la Chiesa e il Cristianesimo stesso!
La Chiesa aveva abolito quasi subito l’usanza di dare la “Comunione sulla mano”, che poteva essere giustificata ai primi tempi della sua storia a causa delle persecuzioni cruente, ma non poteva più essere approvata dopo le numerose profanazioni che risultavano anche in quei primissimi tempi della Chiesa! Oggi, purtroppo, nonostante la crisi gravissima che sta attraversando la Chiesa, la Gerarchia si è come piegata a concedere di nuovo quel rito che, da oltre un secolo, volevano l’umanesimo materialista e ateo, il protestantesimo liberale e massonico, la “nuova teologia” tedesca-olandese, ribelle al Magistero solenne della Chiesa di sempre! Così, a partire dal Vaticano II, ci si comunica in piedi (non più in ginocchio – Ndr), senza più alcuna genuflessione di adorazione e, adesso, si è arrivati anche a concedere la “Comunione sulla mano”, facendo perdere, così, anche quel poco di rispetto che era ancora rimasto per le cose sante! Comunque è una norma ingiusta e sacrilega, come dimostreremo! E noi non possiamo rassegnarci a questo triste stato di cose e a limitarci a soffrirne! Per questo invitiamo tutti, Gerarchia e clero, a rimettere a posto e il rispetto e l’adorazione e l’amore a Gesù-Eucarestia! Ci auguriamo, perciò, che il Magistero – che, qui, ha sbagliato gravissimamente! – abbia il coraggio di interdirla di nuovo con chiarezza, come aveva già fatto in passato, dopo tante tristissime esperienze!
Ma è proprio un ritorno alle origini?
Incominciamo col riportare quello che scrisse il grande e santo Pontefice Pio XII nella sua enciclica “Mediator Dei”, proprio a coloro che volevano ripristinare cerimonie e riti antichi. Scrisse: «Un antico uso non è, a motivo della sua antichità, il migliore, sia in se stesso, sia in relazione ai tempi posteriori». Quindi, il ritorno alle origini (della Chiesa) non è un progresso, ma un anacronistico regresso ed essenzialmente antistorico! (come non sarebbe un progresso voler tornare all’uso della candela, delle torce, delle lucerne ad olio, oggi che abbiamo la luce elettrica!). Lo stesso dicasi per il ritorno all’uso della “Comunione sulla mano”: non è un progresso, ma un regresso! Molto clero, oggi, va raccontando che, nei primi dieci secoli della Chiesa, la regola, o l’uso generale, era proprio di “comunicare” i fedeli in piedi e dando loro il Pane consacrato sulla mano, senza alcuna previa adorazione né genuflessione; anzi! i fedeli prendevano essi stessi dalle mani del sacerdote (o del diacono, o del laico) per servirsi poi da soli, e preferibilmente a casa propria, intorno a un tavolo. Ma la “verità storica” è ben diversa! (1). Vediamola, in dettaglio, sui dati oggettivi di quei primi tempi cristiani: 1° – È storicamente falso che la S. Messa la si celebrasse, «di preferenza, a domicilio, intorno a un tavolo». A quei tempi, la mancanza di luoghi di culto e di materiale liturgico era dovuto solo alle “persecuzioni”, ancora molto prima della “catacombe”! Comunque, finite le persecuzioni, ecco nascere le “case di Dio”, i locali riservati, cioè, alle celebrazioni eucaristiche. 2° – la “tavola” non fu mai né la “regola” né l’uso generale dell’antichità cattolica, ma fu solo l’eccezione, in casi d’emergenza! Quindi, «sarebbe uscire dalla retta via ridare all’altare una forma primitiva di tavola» (e seguedo l'uso della rivoluzione anti-cattolica protestante – Ndr).
(1) Come risulta anche dal Codex Purpureo Rossanensis, il primo Vangelo miniato della storia, risalente al IV Secolo – costodito presso il Museo del Codex a Rossano (Cosenza) – Vedi foto in copertina: gli apostoli ricevono la comunione da Gesù, in bocca e genuflettendosi (Ndr)
Contro le agapi nella casa di Dio
Già San Paolo rimbrottava i fedeli di Corinto per aver travisato la natura e le finalità delle “agapi”, le quali erano solo dei “pasti” di fraternità cristiana, tanto che poté scrivere: «Non avete, dunque, le vostre case per mangiare e per bere? o avete forse in dispregio la Chiesa di Dio?…». L’Apostolo, quindi, faceva discernimento tra nutrimento ordinario (agape) ed Eucarestia; e siccome molti fedeli di Corinto si mostravano irriverenti verso il Signore – per cui furono colpiti da malattia e anche da morte! – S. Paolo li rimbrottava: «Se qualcuno ha fame, mangi a casa sua, onde non vi raduniate a vostra condanna!». Ma siccome questi abusi, deprecati già da S. Paolo, si ripetevano ancora, tanto in Oriente che in Occidente, il Concilio di Laodicea (380) intervenne con vigore proprio contro le “agapi” nella “Casa di Dio” (can. 28); come pure lo farà il Terzo Concilio di Cartagine che interdisse quei “conviviali”! (can. 30). Anche il Diritto cristiano decretò che le “agapi” dovevano farsi in luoghi distinti da quelli in cui si tenevano i santi misteri dell’altare. E fu per questo che S. Pio X, poi, nel suo Decreto “Lamentabili sane exitu” del 3 luglio 1907 condannò la “proposizione 49” che diceva: «La cena cristiana, assumendo a poco a poco l’indole di una azione liturgica, coloro che solevano presiedere alla cena acquistarono il carattere sacerdotale».
Per arginare gli abusi sulla SS. Eucaristia
È, quindi, un falso! Sullo stesso piano storico, invece, l’inevitabile confusione e gli arbìtri delle varie chiese, già nei primissimi tempi della Storia della Chiesa, mobilitò la medesima, subito, a dare una maggiore uniformità di indirizzi e di prassi, limitando sempre più le varie improvvisazioni dei celebranti. È da qui l’origine dei vari “Sacramentari” (Gelasiano, Gregoriano…) e dei vari “Manuali e Direttori”, fino al “Pontificale Romano”, ai “Cerimoniali” e ai “Messali”, sorti appunto per unificare i testi e le rubriche, da un Papa all’altro, fino a Sisto V (1585-1590) che istituì anche la “Congregazione dei Riti”! E tutto questo fu proprio per tutelare la santità del culto, per arginare abusi di cui se ne avvantaggiavano gli eretici! L’Eucarestia, quindi, non fu mai considerata dalla Chiesa come un “toast” da passarsi di mano in mano su un piatto o su un canestro! Il Sacramento dell’Eucarestia, cioè, non doveva essere preso con le proprie mani, bensì “ricevuta”… dalla mano del solo sacerdote. Tertulliano di Cartagine (160-250) lo scrisse: «Noi non lo riceviamo dalla mano di altri (“nec de aliorum manu sumimus”).
Quindi è storicamente falso che i fedeli dei primi secoli della Chiesa
prendessero l’Eucarestia dalla mano del prete, o del diacono o di un laico,
per servirsi, poi, da se stessi…
Sui sacri frammenti eucaristici
La più antica fonte liturgica, infatti, dopo la “Didaché” (scritta tra il 70 e il 90) raccomandava:
«Ciascuno sia attento (…)
che qualche frammento non abbia a cadere e perdersi,
perché è il Corpo di Cristo, che deve essere mangiato dai fedeli e non si deve disprezzare».
S. Giustino (100-166), nella sua “Apologia”, indirizzata all’imperatore romano, annotava che sono «i diaconi che distribuiscono la Comunione e la portano agli ammalati». S. Sisto I (Papa dal 117 al 136) decretò che i soli ministri del culto (preti e diaconi) erano abilitati a toccare i Santi Misteri: «hic constituit ut mysteria sacra non tangerentur nisi a ministris». È chiaro che tali parole erano per fermare gli abusi! San Pio I (Papa dal 141 al 156) inculcava il rispetto della Chiesa, “casa di Dio”, e dell’altare su cui si perpetuava il divin Sacrificio. Lo stesso faceva San Soterio (Papa dal 167 al 175). Santo Stefano I (Papa dal 254 al 257) scrisse che «i laici non devono considerare le “funzioni” ecclesiastiche come se fossero loro attribuite».
Sant’Eutichiano (Papa dal 275 al 283)
richiamò severamente all’ordine e alla disciplina il clero,
e impose di portare essi stessi la Comunione ai malati, non affidandola ai laici.
«Nullus praesumat tradere Comunionem laico vel feminae ad deferendum infirmo».
L'altare del Sacrificio Eucaristico
San Felice I (Papa dal 269 al 274) ordinò che la Santa Messa venisse celebrata sulla tomba di un martire, nelle cripte sepolcrali, nelle nicchie della Catacombe, o altrove: «hic constituit supra memorias martyrum Missas celebrare». Si noti: questa decisione di S. Felice I – osserva Dom Cabrol – regolarizzava un uso già stabilito. È da notare che questa decisione di San Felice I non era un atto isolato, perché fondato sulla Tradizione Apostolica. Lo attesta anche Sant’Evaristo (Papa dal 101 al 109) e Sant’Igino (Papa dal 137 al 141). Tertulliano di Cartagine (160-222) parla dell’Altare cristiano, quale “ara Dei”, e scrive: «soffriamo quando, per disgrazia, succede che qualcosa del calice o del pane consacrato ci cada a terra» (“Calicis aut panis etiam nostri aliquid decuti in terram anxie patimur…» in “De Corona”. S. Ireneo di Lione (130-218) scrive: «È di frequente che il Sacrificio deve essere offerto sull’altare». L’altare era di legno o di pietra, e veniva benedetto e unto. Nel “Liber Pontificalis” si parla di San Silvestro (Papa dal 314 al 335) che curò gli abbellimenti delle chiese e di ornamenti l’altare, guarniti anche di argento e pietre preziose.
Tradizione apostolica
S. Ippolito (II-III sec.), nella sua “Tradizione Apostolica”, – la più antica fonte liturgica dopo la “Didaché” – scrive: «Stia attento, ciascuno (…) che qualche frammento non abbia a cadere e perdersi, perché è il Corpo di Cristo che deve essere mangiato dai fedeli e non si deve disprezzare…». Anche Origene (185-254) scriveva: «Voi che assistete abitualmente ai santi misteri, sapete con quale rispettosa precauzione conservate il Corpo del Signore quando vi è consegnato, per timore che ne cada qualche briciola e che una parte del tesoro consacrato si perda…» (“…ne ex eo parum quid decidat, ne consecrati muneris aliquid dilabatur…”). S. Dionigio d’Alessandria (†264)21 fa le stesse raccomandazioni. S. Efrem (306-375) conferma anch’egli questa tradizione: «manducate hunc panem nec conteratis micas eius; quod vocavi corpus meum, hoc revera est»; «una particula e micis eius milia milium sanctificare valet et sufficit ut vitam praebeat omnibus qui manducant eam…». (Sopra, particolare della Comunione apostolica nel Codex Purpureo Rossanensis, il più antico Vangelo miniato della storia – custodito nel Museo del Codex Rossanensis, a Rossano Calabro/Cosenza: gli apostoli ricevono la comunione da Gesù in fila, sulla lingua e prima si genuflettono in senso di profondo rispetto – Ndr)
S. Damaso I (Papa dal 366 al 384) interdisse l’abitudine di conservare presso di sé,
in privato, l’Eucarestia: «oblationes sub dominio laicorum detineri vetat».
Il Concilio di Saragozza
Il Concilio di Saragozza, nel 380, lanciò l’anatema (canone III)
contro coloro che volevano trattare il SS.mo Sacramento come ai tempi di persecuzione
e non consumavano la Comunione in Chiesa.
S. Cirillo di Gerusalemme (315386) ammonisce che «nessuna particella vada perduta; che se ciò, per disgrazia dovesse succedere, devi dolertene come se ti fosse amputato un membro del corpo. Dimmi, di grazia, se qualcuno ti avesse dato dei frammenti d’oro, forse non li conserveresti con la massima cautela e diligenza, preoccupato di non smarrirne neanche uno? E non dovresti tu essere molto più cauto e diligente perché di quel “pane” (consacrato) non si perda neppure una briciola, molto più preziosa dell’oro e delle gemme?». Lo storico Eusebio riporta anche la testimonianza di Dionisio d’Alessandria († 264).
Altri concili e sinodi sulla corretta pratica
Il Concilio di Toledo, nell’anno 400, stabilì la stessa cosa (canone XIV). Sant’Innocenzo I (Papa dal 401 al 417) e, prima di lui, S. Girolamo (345-420) illustrando “l’Apologia” del filosofo martire S. Giustino (100-166), parlano chiaramente: che i “laici” possono eseguire le funzioni sacre «quando non vi sono, in casi di necessità, dei chierici per adempiere all’obbligo». Comunque, questi fatti avvenivano in casi eccezionali! Anche ai tempi di S. Leone I (440-461) si praticava il rito della “Comunione sulla lingua”: «hoc enim ore sumitur quod Fide tenetur». E quest’uso di deporre il “pane consacrato” in bocca è ricordato fin dal secolo V (anche prima – IV secolo – nel Codex Rossanensis – Ndr). Papa Agapito I, nel 536, compì un miracolo, con una guarigione improvvisa, durante una Santa Messa, subito dopo aver dato la «Comunione nella bocca» («Cunque ei Dominicum Corpus mitteret in os». È S. Gregorio I (Papa dal 590 al 604) a narrarlo. E anche lui metteva l’Eucarestia solo nella bocca dei comunicandi!
Il Concilio di Rouen (verso il 650)
impose la recezione dell’Eucarestia unicamente in bocca:
«Nulla autem laico aut feminae Eucaresthiam in manibus ponat,
sed tantum in os eius».
Pure il Concilio di Costantinopoli, “in Trullo” (692),
interdirà ai fedeli di ricevere l’Eucarestia sulla mano;
e minacciò anche la scomunica, per una settimana, a chi lo faceva,
qualora sul posto vi fosse stato un vescovo, un prete o un diacono.
Nel Sinodo di Rouen (875?), celebrato sotto Ludovico il Pio (†879), si ordinò che il celebrante deponesse l’Eucarestia solo sulla lingua: «… sed tantum in os eius». Lo (cfr. D-S, 1648). stesso si dice nelle Regole “De Ecclesiastica disciplina”, I,199, di Reginone di Prûn (†915). Un Sinodo di Londra, nel 1138, dichiarò che il laico poteva portare la Comunione a un moribondo solo in caso di necessità. Un Sinodo di York, nel 1195, lo consentiva al diacono, ma anch’esso solo in caso di necessità. Nel 1200, S. Tommaso d’Aquino giustificava la prassi, ormai universale, di dare la Comunione in bocca, scrivendo che
«l’unico ministro ordinario dell’Eucarestia è il sacerdote»
( San Tommaso d'Aquino )
Il Concilio di Trento
Il Concilio di Trento, infine, confermò tutto dicendo che il costume di dare la “Comunione in bocca” risale alla “Tradizione Apostolica” (Vedi Codex Rossaniesis – foto in copertina – Ndr): «mos tamquam ex traditione apostolica descendens iure ac merito retineri debet…» (cfr. D-S, 1648). E lo affermò ancora dicendo che «fu sempre costume della Chiesa di Dio che i laici ricevano la Comunione dai Sacerdoti e i Sacerdoti comunichino essi stessi». E poi ancora: «… Questo costume deve essere ritenuto di diritto e giusto titolo come proveniente dalla Tradizione Apostolica». Da questo pur rapido escursus storico possiamo riaffermare che l’attuale “nuova disciplina” è certamente contro la Tradizione Apostolica, contro il modo tradizionale di comunicarsi, contro la disciplina antica! (fine della prima parte / continua nella seconda parte).
Furono solo gli Ariani, infatti, a comunicarsi con la mano e stando in piedi!
Ma costoro negavano la Divinità di Gesù Cristo e, nell’Eucarestia,
non vedevano che un semplice simbolo di unione,
e, quindi, da prendersi e manipolarsi a piacimento!
Don Luigi Villa
tratto da "Comunione sulla mano? No! E' sacrilegio!" / Civiltà Ed., Brescia
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