– di Don Curzio Nitogliad -i
Redazione Quieuropa, Don Curzio Nitoglia, Cardinal Bacci, Cardinal Ottaviani, Conciclio Vaticano II, Chiesa Cattolica, Novus Ordo Missae, Chiesa Conciliare, Cardinal Benelli, Cardinal Koch, arianesimo, eresie anti-trinitarie, Don Francesco Putti, Albert Lang
E' lecito Parlare di “Chiesa Conciliare”
Sostanzialmente Diversa dalla
Chiesa Cattolica?
Verità e principi da tener fermi (e da non confondere)
►Video in allegato
di Don Curzio Nitoglia
Premessa
Roma – di Don Curzio Nitoglia – Quando si parla di Concilio Vaticano II come dogmaticamente inaccettabile, non si può racchiudere in tale constatazione di “rottura oggettiva con la Tradizione apostolica” la responsabilità soggettiva o formale di chi lo ha accolto in buona fede, pensando di obbedire all’Autorità. Così come, quando si constata la nocività oggettiva del Novus Ordo Missae, non si vuole minimamente offendere chi pensa di celebrarlo – in buona fede – in obbedienza all’Autorità, per ignoranza incolpevole delle carenze dottrinali del Nuovo Rito. Queste carenze furono sùbito messe in luce nel “Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae” con la “Lettera di presentazione” dei cardinali Antonio Bacci e Alfredo Ottaviani, ove si trovano considerazioni severe sulla non piena ortodossia oggettiva del nuovo rito (“si allontana impressionantemente dalla dottrina cattolica sul Sacrificio della Messa qual è stata definita dal Concilio di Trento”) e si chiede al Papa di abrogarlo quale “legge nociva”.
Novus Ordo Missae – I fatti e gli argomenti
È un fatto, e “contro il fatto non vale l’argomento”, che il Concilio Vaticano II è stato convocato e promulgato dal Papa e tutto l’Episcopato (compresi mons. Marcel Lefebvre e mons. Antonio de Castro Mayer) vi ha partecipato e lo ha riconosciuto come Concilio della Chiesa (anche se solo “pastorale”). Perciò quelli che lo accettano non possono essere equiparati a coloro che sono fuori della Chiesa. Infatti nessuno avente autorità (Papa e vescovi) li ha condannati e separati da Essa, né possiamo farlo noi, che siamo privi di autorità. Così non si deve neppure dimenticare che la Nuova Messa (di Paolo VI), pur allontanandosi “in maniera impressionante dalla teologia cattolica sul Sacrificio della Messa” (A. Ottaviani – A. Bacci), è stata fatta dal Papa e non da Lutero, che è uscito dalla Chiesa ufficialmente. Quindi i sacerdoti e i fedeli, che son costretti dalle circostanze storiche a subire e a partecipare ad un Rito ambivalente (protestante e cattolico) non ne hanno necessariamente colpa soggettiva o formale, sono membri della Chiesa cattolica (dalla quale nessuno avente autorità li ha espulsi) e non sono scismatici o eretici come i vecchi cattolici e i luterani. Dunque non si può applicare loro, senza fare le dovute distinzioni, il principio della nocività oggettiva del Rito nuovo, la quale formalmente è imputabile a chi lo ha redatto e imposto con un abuso di autorità e non a chi lo subisce, senza calare (come insegna la Teologia morale) al caso concreto e individuale il principio generale della sua nocività oggettiva. Non mi sembra teologicamente lecito asserire che tutti coloro che assistono al nuovo Rito commettono formalmente un peccato mortale contro la Fede come lo è la partecipazione in sacris ad un culto ufficialmente acattolico.
"Soggetto insegnante" e "oggetto insegnato"
La Chiesa è “soggetto insegnante”, la Dottrina della Chiesa è “oggetto insegnato”. La dis-continuità tra Tradizione apostolica e Concilio Vaticano II significa la non-conformità tra la dottrina insegnata dalla Chiesa nei primi venti Concili Ecumenici-dogmatici e quella del Concilio Vaticano II pastorale. Invece nel soggetto che la insegna, ossia la Chiesa, vi è una continuità sostanziale: la Chiesa che ha insegnato dogmaticamente e infallibilmente, prima del Vaticano II è, quanto alla sostanza, lo stesso soggetto “Chiesa” che, quanto al modo, accidentalmente ha parlato “pastoralmente”, non dogmaticamente e quindi non infallibilmente durante il Vaticano II. Il fatto che l’oggetto dell’insegnamento, ossia la dottrina ante-Vaticano II e quella del Vaticano II discordano in molti punti non pone problemi all’indefettibilità della Chiesa, poiché l’insegnamento “pastorale” del Vaticano II non è infallibile, avendo esso rinunciato a voler definire ed obbligare a credere. Vi è, dunque, sostanzialmente un solo e identico soggetto (Chiesa), che insegna in maniera diversa quanto al modo: con Magistero dogmatico infallibile e con Magistero pastorale non infallibile. Se si nega che il soggetto Chiesa è lo stesso prima e dopo il Concilio, implicitamente e almeno praticamente, si nega l’articolo di Fede “Credo unam, sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam” poiché la Chiesa che Cristo ha fondato su Pietro e i suoi successori (i Papi) dovrà durare ininterrottamente sino alla fine del mondo sostanzialmente inalterata. Se la Chiesa petrina fosse finita col Vaticano II (1965) le “porte degli Inferi” avrebbero vinto, sconfessando la promessa di Gesù: “Io sarò con voi tutti i giorni [compresi quelli che vanno al 1962 al 1965] sino alla fine del mondo”. Invece il fatto che la dottrina o l’oggetto dell’ insegnamento della Chiesa differisce, poiché nel Vaticano II non si è voluto definire ed obbligare a credere e quindi si è esclusa l’assistenza infallibile dello Spirito Santo, non intacca l’apostolicità e l’indefettibilità del soggetto Chiesa, che, nonostante il Vaticano II, continuerà da Pietro sino all’ultimo Papa vivente alla fine del mondo.
Chiesa – Conciliare, Cattolica, Contro-Chiesa
Parimenti si può parlare, in senso largo o non strettamente teologico, di soggetto “Chiesa conciliare” (come hanno fatto i cardinali Benelli e Koch) in opposizione al soggetto Chiesa cattolica romana tradizionale. Infatti l’oggetto "insegnamento magisteriale pastorale" (Concilio Vaticano II) o "puramente esortativo” (Francesco I, Esortazione apostolica Amoris laetitia, 19 marzo 2016) sono in contraddizione con l’oggetto dell’insegnamento dogmatico e costante della soggetto Chiesa cattolica da S. Pietro a Pio XII. In questo senso (lato o non strettamente teologico) si può parlare degli uomini di una “contro-chiesa”, che cercano di erodere modernisticamentela Chiesa cattolica dal di dentro (1). È il piano che la “Sinagoga di satana” (Apoc., II, 9) ha sempre avuto in mente sin dalla fondazione della Chiesa di Cristo (2) ed ha cercato di attuare nel corso dei secoli, perseguitando la Chiesa o “Cristo continuato nella storia” a partire da Giuda, dal martirio di S. Stefano, degli Apostoli, dei fedeli, dallo Gnosticismo cristiano del I secolo e dalle prime eresie anti-trinitarie e cristologiche del IV-V secolo, con qualche successo parziale (3). Ma, nonostante tutti gli sforzi dell’inferno e dei suoi accoliti (da Giuda agli ariani e ai modernisti), “le porte dell’Inferno non prevarranno contro di Essa”. La fede ci assicura che anche quest’ultimo tentativo di distruggere la Chiesa di Cristo (Vaticano II) è destinato a fallire come tutti gli altri che lo hanno preceduto e come la persecuzione dell’Anticristo finale, che concluderà la storia dell’umanità e della Chiesa con la vittoria definitiva di Cristo. “Dio salvi la Chiesa dalle colpe degli uomini di Chiesa” (Don Francesco Putti).
(1) Cfr.: San Pio X, Enciclica Pascendi, 8 settembre 1907; (2) Cfr.: “configgendo il Verbo incarnato in croce”, Pio XI, Enciclica Mit Brennender Sorge, 14 marzo 1937; (3) Cfr.: la crisi ariana del IV secolo, il X secolo detto “periodo bronzeo” della Chiesa; il Grande Scisma d’Occidente, il Concilio Vaticano II e il post-concilio da Paolo VI a Francesco I
I principi da tener fermi (e da non confondere)
Occorre ben distinguere i termini quando si parla di “ermeneutica della continuità” sia per non negare il fatto oggettivo della discontinuità di dottrina ante e post Vaticano II, sia per non negare il dogma della perenne continuità del soggetto Chiesa sostanzialmente identico sino alla fine del mondo e la sua apostolicità, ossia la serie formalmente ininterrotta di Papi e Vescovi, che da Pietro e dagli Apostoli si sono susseguiti e si susseguiranno come una catena di anelli sino alla Parusia. Occorre, a tal fine, fare molta attenzione a non confondere la continuità del soggetto Chiesa con la continuità dell’ oggetto o dottrina della Chiesa, la quale dottrina, quando non è insegnata dal Magistero infallibile, può essere eccezionalmente in rottura con la Tradizione apostolica così come la dottrina del Vaticano II è in più punti in rottura con quella della Tradizione apostolica e del Magistero tradizionale e dogmatico (quindi infallibile) della Chiesa.
Corretta interpretazione della teologia del CVII
Per interpretare correttamente la teologia del Concilio Vaticano II occorre, dunque, ritornare alla distinzione classica e scolastica tra il soggetto Chiesa, che insegna, e l’oggetto o la verità insegnata, la quale, se il Magistero non vuole definire e obbligare a credere, può contenere eccezionalmente l’errore ed essere in rottura con la Tradizione (“quod ubique, ab omnibus et semper creditum est”), non dimenticando che l’universalità del Magistero non riguarda solo l’omnibus ossia il Corpo insegnante (tutti i Vescovi più il Papa), ma anche il semper, ossia la continuità dell’insegnamento, che proprio perché costante non può essere erroneo (4). Certamente la Chiesa è ‘soggetto insegnante’, tuttavia gli uomini di Chiesa non devono appropriarsi della Rivelazione divina, contenuta nella Tradizione apostolica e nella S. Scrittura per interpretarla soggettivisticamente come a loro sembra, ma devono custodirla, mantenerla invariata sostanzialmente o oggettivamente (anche se approfondita e penetrata) e poi trasmetterla spiegandone il significato genuino omogeneamente, cioè senza contraddizioni (5).
(4) Cfr.: Pio IX, Tuas libenter, 1863
(5) Cfr.: Conc. Vat. I, Pastor aeternus, cap. IV
Interpretazione della Rivelazione (condizionata)
L’ interpretazione della Rivelazione è condizionata dalla sua conservazione e ordinata alla sua trasmissione. La Chiesa certissimamente è un soggetto che riceve, conserva, interpreta e trasmette la Rivelazione o dottrina oggettiva, ma lo deve fare distinguendo il soggetto (Chiesa) dall’ oggetto (verità o dottrina Rivelata), non deve “assoggettarsi” la Rivelazione perché ai “successori di Pietro è stato promesso lo Spirito Santo non perché per Sua rivelazione insegnassero una nuova dottrina, ma affinché, con la Sua assistenza, custodissero piamente ed esponessero fedelmente la Rivelazione trasmessa dagli Apostoli” (6).
(6) Cfr.: Conc. Vat. I, Pastor aeternus, cap. IV, DS 3074
Il guaio di "sovrapposizione" del CV II
Il guaio è che con il Concilio Vaticano II è stato sovrapposto il soggetto Chiesa all’oggetto insegnato e sono stati legittimati “pastoralmente” alcuni cambiamenti di dottrina con la continuità del soggetto Chiesa, che dovrebbe far passar, così, in second’ordine, il cambiamento dell’oggetto dottrina insegnata (collegialità episcopale, pan-ecumenismo, diritto di libertà delle false religiosi, rapporti Chiesa/giudaismo postbiblico, unicità della Scrittura come fonte di Rivelazione escludendo la Tradizione, panteismo antropologico…). Questo è l’escamotage di cui si servono i neomodernisti per accreditare “l’ermeneutica della continuità” della dottrina insegnata prima, durante e dopo il Concilio Vaticano II.
L'anomalia del Vaticano II
Il Magistero Conciliare (Vaticano II compreso) è di per sé Solenne o Straordinario e Universale, trattandosi di tutti (moralmente e non matematicamente) i Vescovi riuniti in Concilio sotto il Papa in maniera non abituale ma eccezionale: «Quanto al Vaticano II, sarebbe assurdo negargli il carattere di Magistero Conciliare, quindi Solenne, non Ordinario, perché in tal caso si negherebbe il [fatto o l’esistenza del] Concilio stesso. […]. Se una cosa è, non può non essere». Ossia è un fatto, e “contro il fatto non vale l’argomento”, che il Papa ha convocato tutti i Vescovi del mondo nel Concilio Vaticano II, il quale è esistito (chi può negarlo?), si è svolto e si è concluso sotto la direzione del Papa e non è stato impugnato da nessun Vescovo residenziale o avente giurisdizione (neppure da mons. Marcel Lefebvre e da mons. Antonio de Castro Mayer) né da nessun Cardinale. Quindi canonicamente è un Concilio Ecumenico legittimamente convocato e promulgato. Tuttavia – e questa è l’anomalia – tale Concilio lo si è voluto, per la prima volta nella storia della Chiesa, “pastorale” e non dogmatico come gli altri precedenti venti Concili Ecumenici, ossia si è voluto che si limitasse ad applicare ai casi pratici la dottrina della Chiesa senza definire né obbligare a credere nessuna verità di Fede o di Morale. Quindi il Vaticano II è, sì, Magistero Solenne Universale o Conciliare, ma è Magistero non dogmatico e non infallibile, tranne nei punti ove ha riproposto la dottrina costantemente e universalmente professata da tutta la Chiesa (“quod semper, ubique et ab omnibus creditum est”) o quando ha ripreso dogmi già definiti.
Sedevacantismo non è "sede vacante"
In breve la legittimità del Vaticano II come Concilio Ecumenico (quanto a convocazione, esistenza e promulgazione) è distinta dall’ortodossia della dottrina da esso insegnata così come la validità e legittimità dell’elezione canonica di Paolo VI-Francesco I (soggetto Papa esistente in atto) non si identifica con la loro ortodossia dottrinale (oggetto da loro insegnato). Il Vaticano II è realmente Magistero Conciliare e perciò Solenne, ma non è infallibile in quanto non ha voluto essere dogmatico: «ha [giuridicamente] le carte in regola che lo fanno un autentico Concilio ed esigono che sia come tale riconosciuto. […]. L’autenticità conciliare gli deriva dalla canonicità della sua convocazione, della sua celebrazione e della sua promulgazione. […]. La qual cosa non depone di per sé per la dogmaticità dei suoi asserti […], trattandosi di un Concilio che, fin dalla sua convocazione […], escluse formalmente dal proprio orizzonte l’intento definitorio». Il fatto che il Concilio Vaticano II quanto al modo di insegnare sia Magistero Solenne o Straordinario non significa che ipso facto sia quanto alla sostanza dogmatico o che voglia definire e obbligare a credere, godendo, così, dell’assistenza infallibile di Dio. È un fatto che il Vaticano II è stato un Concilio Ecumenico convocato e promulgato da un Papa, ma è altresì un fatto che è stato solo pastorale e quindi il passaggio dal fatto dell’esistenza di un Concilio pastorale al principio della sua infallibilità e obbligatorietà dottrinale non è valido, non avendo esso voluto definire ed obbligare a creder ciò che ha insegnato pastoralmente. Asserire che il Concilio Ecumenico Vaticano II non è Magistero significa negare implicitamente che Giovanni XXIII, Paolo VI e i Vescovi del mondo intero (compresi mons. Antonio de Castro Mayer e mons. Marcel Lefebvre) riuniti in Concilio cum Petro et sub Petro, più i Papi e i Vescovi post-conciliari, non sono Papi e Vescovi. Questo è “sedevacantismo” e non stato di “sede vacante”.
La "prova del nove" dell'infallibilità
Il Concilio (e quindi anche il Vaticano II) è Magistero straordinario “quanto al modo”, nel senso che il Concilio non è abitualmente o permanentemente riunito, ma è radunato straordinariamente o solennemente ed eccezionalmente; tuttavia “quanto alla sostanza” il suo insegnamento è infallibile soltanto se definisce una verità di Fede come da credersi obbligatoriamente. Quindi il Magistero, sia ordinario che straordinario, è infallibile solo se ha questa ‘volontà di definire e obbligare a credere’. Il teologo tedesco Albert Lang spiega bene che «non riveste neppure importanza essenziale il fatto che i Vescovi esercitino il loro magistero ‘in modo ordinario e universale’ [cioè sparsi nel mondo ciascuno nella propria Diocesi], oppure esercitino il loro magistero ‘in modo solenne’ [straordinario] […] in un Concilio ecumenico convocato dal Papa. In entrambi i casi sono infallibili solo se, in accordo tra di loro e con il Papa (prima condizione), annunziano una dottrina in modo definitivo e obbligatorio (seconda condizione)» (7). In breve, per esercitare l’infallibilità, è essenziale obbligare i fedeli a credere come divinamente rivelato ciò che si definisce sia in ‘maniera ordinaria’ sia in ‘maniera solenne o straordinaria’ (il modo è elemento accidentale dell’infallibilità). La forma esterna solenne o straordinaria ‘quanto al modo’ di pronunciarsi non è per sé indice di infallibilità; l’essenziale è imporre ‘quanto alla sostanza’, in ‘maniera ordinaria o straordinaria’, la dottrina annunziata definitivamente e obbligatoriamente per la salvezza. Onde non tutto ciò che è Magistero Straordinario, quanto alla forma esterna ‘non comune’ o ‘non ordinaria’ di pronunciarsi con formule solenni, è infallibile.
(7) Cfr.: Compendio di Apologetica, tr. it. Torino, Marietti, 1960, p. 461