Sabato, Aprile 18th/ 2015
– di Nicola Arena e Sergio Basile, "Sete di [...]
Martedì, 26th Febbraio/ 2013
– di C.Alessandro Mauceri –
Porcellum, articolo 1, Costituzione italiana, repubblica, res pubblica, democrazia, Chio, governo, Grecia, città-stato, isogoria, isonomia, democratia, oligarchia, diritti politici, Italia, monarchica, legge 21 dicembre 2005 n. 270, sistema proporzionale, proporzionale impuro, elettori, democrazia rappresentativa, partiti, Parlamento, soglie di sbarramento, TAR Lazio, Regioni, Senato, PD, preferenze, elettori votanti, PDL, Camera dei deputati, C. Alessandro Mauceri
Il Porcellum colpisce ancora, e i danni
li pagano gli Italiani
Il Risultato delle Elezioni? L'Italia non è una Repubblica!
E' un sistema anti-costituzionale. Questi sono i risultati!
Roma – L’articolo 1 della Costituzione italiana, risultato del referendum del 2 giugno 1946, inizia con le solenni parole “L’Italia è una Repubblica democratica……”. Tralasciando, per il momento le nostre considerazioni sul termine “repubblica”, ovvero, etimologicamente, res pubblica (“cosa comune” in latino), l’Italia è, prima di ogni altra cosa, una democrazia. O almeno così dovrebbe essere e, invece, non è così! Pare che la democrazia, come modo di gestire la cosa comune, sia nata a Chio, nell’Asia Minore, tra il 7° e il 6° secolo a.C.. E’ lì che si sarebbe avuto il primo caso documentato di gestione in forma assembleare e non dinastica e un primo passo verso un nuovo modo di gestire la cosa comune.
L'Italia non è una Repubblica!
La nuova forma di governo si diffuse rapidamente in Grecia, dove venivano utilizzati due termini per indicare la gestione della città-stato basata sulla parità di governo: isogoria (parità di diritto di prendere la parola durante l'assemblea) e isonomia (uguaglianza di fronte alla legge). L’avvento della democratia, che significa appunto "governo del popolo", comportò una novità enorme rispetto al modo oligarchico (da oligarchia, ovvero governo dei pochi) basato sulla gestione della cosa comune da parte dei pochi proprietari terrieri, utilizzato fino ad allora. Il nuovo sistema di gestione implicò, infatti, il riconoscimento del popolo come autorità legittima di governo. Ciò ebbe una rilevanza storica enorme e comportò una radicale trasformazione delle idee e delle istituzioni politiche. L’estensione dei diritti politici a tutti i cittadini cambiò il modo di considerare la cosa comune: poter decidere del proprio futuro permise alle classi sociali meno abbienti, ma più numerose, di imporsi sulle classi più ricche ma meno rappresentate. In una democrazia, quindi, il potere dovrebbe essere appannaggio di “tutti” i cittadini. Dopo diversi millenni, pare che la situazione non sia migliorata, anzi, è evidente come gli insegnamenti ricevuti nel corso dei secoli siano andati definitivamente perduti. Le ultime elezioni ci hanno dimostrato, se mai ce ne fosse stato bisogno, che l’Italia non è una repubblica e che non è affatto democratica.
Il Paese dei "Porcellum" – Un Sistema Anti-costituzionale
I caratteri che dovrebbero distinguere la forma repubblicana dalle altre forme di governo di un Paese, come ad esempio quella monarchica o quella oligarchica, sono soprattutto due: l’elettività e la temporaneità delle cariche pubbliche (e già qui ci sarebbe da discutere visto che alcune delle cariche non sono elettive e neanche temporanee, si pensi ai senatori a vita). Ma non basta. In Italia la legge elettorale vigente, detto “Porcellum” (e tra poco capiremo il perché) è una dimostrazione evidente di come la democrazia non conti nulla. Il sistema attualmente in uso in Italia è entrato in vigore con la legge del 21 dicembre 2005, n. 270, e prevede che si adoperi il “sistema proporzionale”. In pratica, agli elettori viene preclusa la possibilità di indicare la preferenza per uno dei candidati, i quali rimangono appannaggio delle segreterie di partito, o delle primarie interne, ammesso che si facciano e che le procedure siano trasparenti (e parlare di trasparenza quando si parla della politica italiana è a dir poco ridicolo). Questo sistema, non a caso definito “proporzionale impuro”, si basa sul principio secondo il quale i seggi vengono assegnati non sulla base delle scelte degli elettori, come dovrebbe avvenire in una “democrazia rappresentativa”, ma dai singoli partiti, favorendo il raggruppamento di questi ultimi in coalizioni. Inoltre, la legge prevede alcune percentuali minime per la distribuzione dei seggi in Parlamento, denominate “soglie di sbarramento”, che differiscono a seconda del ramo parlamentare, della coalizione nella sua interezza, del partito coalizzato o, in alternativa, della lista in corsa solitaria. In questo modo, oltre a violare la Costituzione e il principio di democrazia (non è un caso che sia in corso un ricorso presentato al TAR Lazio per l’abolizione di tale legge, il cui giudizio è stato “bloccato” proprio alla vigilia delle elezioni), si impedirebbe agli elettori di esprimere la propria opinione in Parlamento indipendentemente dalla propria scelta politica e si costringerebbero i vari partiti minori a effettuare raggruppamenti per favorire una coalizione o un’altra e consentire ai partiti maggioritari di raggiungere la maggioranza.
Il Problema delle candidature e la spartizione dei seggi
Come se non bastasse, in questo sistema viene assegnato un peso diverso alle varie candidature, dal momento che la spartizione dei seggi avviene su base regionale e che quindi potrebbe accadere, come è appunto accaduto in queste elezioni che gli elettori delle Regioni più popolose avessero un “peso” maggiore degli altri all’atto dell’assegnazione dei seggi. E non basta, sulla base di questo sistema può avvenire che un candidato che riceve un numero di voti maggiore di un altro candidato, facente parte di un diverso schieramento, non venga eletto, violando in tal modo, ancora una volta, il diritto di chi lo ha scelto di essere rappresentato. Per capire quanto sia assurdo il sistema e a quali risultati porti, basta vedere i risultati delle elezioni. Al Senato, il “gruppo” facente capo al PD, pur avendo ricevuto 9.686.398 voti e una percentuale delle preferenze pari al 31,63% degli elettori votanti, ha ricevuto 113 seggi. Per contro, il “gruppo” facente capo al PDL, che ha ricevuto 9.405.786 voti, equivalenti al 30,72% delle preferenze dei votanti, ricoprirà 116 seggi. Ovvero, chi ha ricevuto meno voti avrà una rappresentanza maggiore in Parlamento. Diversa la situazione alla Camera dei deputati, dove, grazie alla diversa metodologia di ripartizione dei seggi, le stesse coalizioni, pur avendo ricevuto una differenza di voti intorno allo 0,35% (10.047.603 pari al 29,54% il gruppo che ha come capofila il PD contro 9.923.109 29,18% del gruppo che ha come capofila il PDL) si sono visti assegnare rispettivamente 340 seggi la prima e 124 seggi l’altra. Ovvero una differenza delle preferenze elettorali minima (meno dello 0,5%) ha fatto sì che una coalizione ricevesse un numero di seggi maggiore del 270%, quasi il triplo. E questo alla faccia della democrazia e della “cosa pubblica gestita dal popolo” (che sulla Costituzione fa “repubblica democratica”)…
C.Alessandro Mauceri (Copyright © 2013 Qui Europa)
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