La Cattedra di Pietro, la Paternità e l’Osservazione di Bossuet

Sabato, Febbraio 22nd/ 2014

– di Padre Piotr Anzulewicz  – 

Catanzaro – di Padre Piotr Anzulewicz – Nella giornata odierna, Sabato della 6a settimana del tempo ordinario (A) la Chiesa ricorda Santa Margherita da Cortona († 1297), prima concubina, poi terziaria francescana – gloria dell’Ordine francescano e patrona di Cortona: città che da sette secoli custodisce il suo corpo incorrotto. In Vaticano si celebra la festa della Cattedra di San Pietro con la connessa nomina di 18 nuovi cardinali in occasione della chiusura del concistoro. In una giornata così particolare per la Città del Vaticano, ci chiediamo: Qual è il compito di Pietro, e del suo successore? Sicuramente quello di conservare la fede integralmente, di custodirla, di preservarla da interpretazioni soggettive e non lasciare che le mode e il tempo – o le critiche facili e tornacontistiche – annacquino il Vangelo.

 Chi è Pietro?                                                                                                                  

Pietro è il riferimento saldo del Vangelo vissuto, lo scoglio cui aggrapparsi in tempo di immense incertezze. Celebriamo dunque l'unità della fede custodita creativamente da Pietro e dai sui successori: dal papa emerito Benedetto XVI e da Papa Francesco. Per loro preghiamo oggi, affidandoli a Cristo, nostro Maestro, perché sperimentino la forza della grazia di Dio e l’affetto di tutti i credenti. E perché la nostra preghiera sia davvero la «partecipazione alla preghiera di Cristo, rivolta nello Spirito Santo al Padre infinitamente buono e pieno di amore, confessiamo le nostre infedeltà e chiediamo a San Pietro e a Santa Margherita da Cortona che ci aiutino ad essere docili al Padre e pieni di fiducia nel suo amore. 

 Dio e il concetto di paternità                                                                                     

Nelle letture odierne (1Pt 5,1-4   Sal 22   Mt 16,13-19) la liturgia è illuminata dal concetto di Dio “Padre”, concetto dominante nel cristianesimo, ed è Cristo a chiarire questa realtà. Tralasciando il nome di “Dio”, egli stesso introduce quello di “Padre”. Il nome di “Dio”, avendo perso il significato di un nome preciso, è diventato come un attributo, come nell’espressione: «Il denaro è il suo dio». Così, per alcuni, “Dio” è un nome freddo, che non esprime né genera alcun sentimento o affetto. Diverso è il concetto di paternità. Esso implica l'idea di figli e di figlie, suggerendo amore e tenerezza. Questa verità è la chiave che apre molte porte e mette allo scoperto ciò che è santo e nascosto. Le apre Colui che è la personificazione della verità, il rivelatore del Padre: Cristo. Vedere Cristo significa vedere il Padre, rifiutarlo significa condannare se stessi e rimanere nelle tenebre. È dal Padre che viene ogni cosa buona. Lo dice anche Pietro nella sua bellissima Lettera, quando erompe nell’acclamazione: «Sia benedetto Dio e Padre», per i benefici che già ci ha elargito e per quelli che ci ha preparati: «Sia benedetto Dio e Padre del Signore Gesù Cristo: nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati». Dio si è di nuovo manifestato Padre per noi; già ci aveva dato la vita, ora ci ha nuovamente generati, «mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti». Il Padre si è di nuovo rivelato tale donandoci una vita al di là della morte, una vita, dunque, eterna, duratura, senza fine.  Questa generosità, che il Padre ci ha dimostrato nel passato, è evidentemente promessa di una altrettanto grande generosità per il futuro. Infatti, Pietro continua: "Ci ha rigenerati per una speranza viva". Già possediamo la vita eterna, ma in germe, colmo di speranza, teso verso il compimento, la pienezza. Pietro non ha parole abbastanza belle per descrivere quello che Dio ci darà: «Una eredità che non si corrompe, non si macchia, non marcisce, conservata nei cieli…». È una prospettiva estremamente positiva. Pietro vede la grande bontà di Dio nel passato e per il futuro. Fra questi due spazi di gioia o due manifestazioni della bontà e generosità divine c'è un piccolo momento di prova, di afflizione, di contrarietà: «Perciò siete ricolmi di gioia anche se ora dovete essere per un po' di tempo afflitti da varie prove». E anche queste prove sono lette in maniera molto positiva: sono necessarie per purificare la nostra fede, come l'oro si purifica nel fuoco. 

 Pietro e la Fraternità                                                                                                  

È molto consolante per noi questa visione della vita cristiana che San Pietro ci presenta con tanto entusiasmo, e dopo di lui tanti altri, tra cui San Francesco d’Assisi che ha assunto fino in fondo la paternità divina come instauratrice della fraternità umana: l’essere tutti figli dello stesso Padre, rifiutando, per sé e per gli altri, la struttura gerarchico-piramidale della società medievale e degli stessi Ordini monastici. La fraternità istituisce l’impossibile appropriazione, perché, anteriore all’appropriazione, c’è la gratuità della donazione dalla quale si è generati ed entro la quale si permane a propria stessa insaputa. Ricevendo tutto, anteriormente e indipendentemente dal desiderarlo o volerlo, i figli provengono dal gratuito e sono destinati al gratuito, vivendo nel paradosso di una povertà che è avere tutto senza possedere nulla (cfr. 2Cor 6,10). Ed è per vivere la fraternità, fondata sulla paternità divina, che è necessario svuotarsi di sé e non tenere nulla per sé, neppure ciò che si ritiene di più sacro (cfr. FF 1629). Solo la fraternità è in grado di garantire a tutti un futuro di libertà e di uguaglianza. È una sfida soprattutto alle Chiese perché la Chiesa è veramente tale – popolo di Dio sotto la sua signoria – solo se i suoi membri vivono come fratelli e sorelle. Senza tale fraternità resta incomprensibile e contraddittoria la fraternità (anzi la "fratellanza") e la triade dei valori repubblicani francesi, la società laica fondata proprio sull’assenza del padre.

 La cattedra di Pietro                                                                                                  

La festa di oggi è un forte richiamo al ruolo d’insegnamento (la cattedra) di Pietro, al ministero petrino all'interno della Chiesa. Una festa antica di secoli, che ha permesso di sviluppare una lunga dottrina sul ruolo e l’autorità del Pontefice. Anche il magistero di Benedetto XVI ha contribuito in questi anni ad arricchire tale riflessione, ulteriormente ampliata dalla sua scelta di rinunciare al ministero petrino. “Tutto nella Chiesa poggia sulla fede: i Sacramenti, la Liturgia, l’evangelizzazione, la carità. Anche il diritto, anche l’autorità nella Chiesa poggiano sulla fede. La Chiesa non si auto-regola, non dà a se stessa il proprio ordine, ma lo riceve dalla Parola di Dio, che ascolta nella fede e cerca di comprendere e di vivere” (Messa con in nuovi cardinali, 19 febbraio 2012).

 La deposizione dello scettro di Pietro e Benedetto XVI                               

Personalmente ritengo che nulla come la rinuncia di Benedetto XVI abbia spiazzato e spazzato dall’orizzonte del papato la categoria dell’esercizio del potere, nel modo in cui da Adamo l’uomo la intende. E ciò colpisce non tanto perché c’è di ammirevole in quel gesto il fatto di volersi fare da parte per lasciare campo a forze nuove, come ampiamente sottolineato dai commenti di questo periodo. C’è ben altro e anche questo Benedetto XVI l’aveva detto. Pietro presiede la Chiesa solo se non usa la politica, il denaro o l’influenza mediatica. Pietro presiede la Chiesa solo se adopera la moneta che ha corso legale nel regno del suo Dio, quella della carità: “Pertanto, ‘presiedere nella carità’ significa attirare gli uomini in un abbraccio eucaristico – l’abbraccio di Cristo – che supera ogni barriera e ogni estraneità e crea la comunione dalle molteplici differenze. Il ministero petrino è dunque primato nell’amore in senso eucaristico, ovvero sollecitudine per la comunione universale della Chiesa in Cristo” (Messa con in nuovi cardinali, 19 febbraio 2012). In un mondo popolato da persone arroccate sul potere, incapaci di allentare la morsa dallo scettro, avide di salire e salire sempre di più, come è evangelico e controcorrente – malgrado le chiacchiere e le derive sedevacantiste alimentate strategicamente da oscuri personaggi –  il gesto di colui che dice onestamente: “Perdonatemi, non ho più le forze; Gesù chiami un altro al timone della Chiesa; io mi ritiro senza potere nel silenzio. Mi sottraggo alla gloria e alla luce, ma non scendo dalla croce; anzi, mi affretto a risalire sulla croce…”.

 L'Osservazione di Bossuet                                                                                      

Jacques Bénigne Bossuet, grande oratore francese, sul finire del sec. XVII, amaramente esclamava: «Vi meravigliate se sembra che Dio si sia nascosto, vi meravigliate? Dio si trova a disagio in un mondo di orgogliosi, perché gli orgogliosi non possono capire il vocabolario dell’umiltà che Dio ha stampato a Betlemme. Oggi – concludeva – trovare una persona veramente umile è un fatto più unico che raro». Ebbene, noi l’abbiamo trovata! Noi possiamo dire che oggi una persona umile c’è! Una persona veramente umile e coraggiosamente umile è Benedetto XVI. Grazie ancora, Papa Benedetto! Hai dato un colpo all’orgoglio e alla superbia di tutti! Il mondo è stato sorpreso, sì, la Chiesa è stata edificata, tutti siamo stati chiamati a tenerne conto e Dio dal cielo sorride perché un raggio della sua luce è riuscito a sciogliere la fitta nebbia della superbia umana. E la Chiesa continua il suo cammino, con Papa Francesco, sorretta dalla certezza che Gesù resta sempre al timone della barca, senza interruzione, e questo basta per renderci ottimisti. Pertanto diciamo grazie per la loro luminosa testimonianza di fede e di amore appassionato alla Chiesa e al mondo e, «avanzando senza indugi per la via della fede viva, la quale accende la speranza e opera per mezzo della carità» (LG 41), preghiamo con loro per la Chiesa universale e per il mondo una nuova Pentecoste. 

Padre Piotr Anzulewicz (Copyright © 2014 Qui Europa)

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