La grande opera medievale della Chiesa Cattolica contro l’usura ebraica
Domenica, 2 settembre / 2018
– di Sergio Basile –
Redazione Quieuropa, Sergio Basile, Medioevo, usura ebraica, Chiesa Cattolica, Monti di Pietà
La grande opera medievale della Chiesa Cattolica
contro l'usura ebraica
Il francescanesimo e la mirabile opera dei Monti di Pietà
di Sergio Basile
Tratto da: Sergio Basile, "Il Prezzo della Libertà. La Grande Truffa della Moneta in 5 Mosse"
Ed. Solfanelli, 2018
Chiesa Cattolica: millenario faro contro l'usura
Catanzaro – di Sergio Basile – Il problema dell’ingiustizia connesso alla tirannide del legislatore e all’usura era avvertito con particolare sensibilità dalla comunità cattolica, specie nell’epoca preilluministica (1). Oggi, malgrado gli appelli insipidi, slegati, discontinui e sporadici di vasti comparti della Chiesa-istituzione, a tratti filo-europeista, questa prioritaria istanza di giustizia sembra essersi affievolita. Alcuni settori clericali, espressione di una chiesa modernista e progressista, sembrano diventati sordi e ciechi al grido di aiuto dei popoli europei, soggiogati da trattati comunitari e accordi transnazionali che hanno finito per legalizzare orrori di ogni tipo. Durante il glorioso Medioevo la comunità cristiana — clericale e laica — nutriva una grande considerazione verso la sacralità della vita e verso la stessa morte (2), considerando l’usura al pari del crimine più grande, perché capace di compromettere il normale ritmo dell’esistenza umana e di incidere sulla fine naturale della stessa: capace cioè di condizionare nefastamente sia il corpo (tempio dello Spirito) che l’anima. Così San Bernardino da Siena, nel Sermone XLIV della sua Opera Omnia, scrisse sull’usura e i suoi più abili architetti:
Gli usurai sottraggono il pane dalle mani degli affamati e dei fanciulli,
l’acqua dalle mani degli assetati, la casa e l’alloggio a chi non ne ha uno,
gli indumenti dal corpo di chi è nudo, fanno ammalare i sani,
cacciano in prigione i liberi e, come lupi voraci,
si affannano a saziarsi della carne dei miseri (3)
San Bernardino da Siena
(1) Nel contesto di una società organica e teocentrica. (2) La diffusione delle cosiddette Ars Moriendi — o arti della buona morte — ne sono un esempio emblematico. (3) San Bernardino da Siena, Opera Omnia, Sermone XLIV.
Usura giudaica e Concilio Laterano IV
Ecco perché la Chiesa di Cristo ha da sempre combatutto l’usura, specie quella più aggressiva praticata dai mercanti giudei, condannando esplicitamente alcuni passi del Talmud ebraico che la avallavano. La piaga feneratizia era considerata dalla Chiesa come un gravissimo peccato, reiterato sia contro Dio (e la Sua Provvidenza) che contro gli uomini e la Creazione, ingenerando nel corpo sociale incommensurabili danni materiali e spirituali. All’epoca il prestito su pegno era erogato dai privati con tassi d’interesse che variavano dal 14 al 50%, con punte dell’80%, anche se la leva fiscale era meno opprimente rispetto a quanto avviene oggi. È curioso notare come il cancro dell’usura, andato in metastasi con la nascita delle private banche centrali a partire dal 1694 (4), andò propagandosi in tutta Europa fin dai primi secoli dopo Cristo. Successivamente, verso la fine del Duecento, con la progressiva affermazione dell’economia monetaria e dei banchi, gestiti in gran parte da speculatori ebrei, essa esplose diventando un fenomeno di malcostume. Ciò spiega la centralità che il fenomeno trovò presso tutti i grandi concili del Medioevo, a cavallo tra il 1123 e il 1312, sulla scia di quanto sancito già ad Elvira (5) (306 d.C.), Nicea (6) (325 d.C.) e Clichy (Francia, 626 d.C.) (7). Tra i concili in questione spiccò il Laterano IV del 1215, che denunciò con forza la perfidia giudaica testimoniata nell’usura:
Quanto più la religione cristiana
viene oppressa dalla riscossione del denaro prestato a usura,
tanto più gravemente la perfidia giudaica diviene prepotente,
tanto che in breve tempo le ricchezze della Chiesa si esauriranno (8).
(4) Cfr. par. 6.2 (Una catena di disastrosi effetti ed eventi); par. 6.3 (Londra 1964 – Royal Charter: una rivoluzione epocale). (5) Oggi Granada (Spagna). (6) Oggi Iznik (Turchia). (7) Il Concilio di Elvira (Spagna) si celebrò nel 306 d.C. (circa) nella città di Elvira (il nome di Granada prima della conquista araba, nell’allora Hispania). Vi si trattò, tra l’altro, il tema della separazione dalle comunità ebraiche che risiedevano nella penisola iberica. Il Concilio di Nicea (Turchia) fu il primo dei concili ecumenici e si tenne nel maggio-giugno del 325, convocato dall’imperatore Costantino. Vi parteciparono da 220 a 318 vescovi, in maggioranza orientali. Condannò l’eresia di Ario, proclamando il Figlio consustanziale a Dio Padre nel cd. Simbolo niceno (il Credo), tuttora in uso. Il Concilio di Clichy (o Concilium Clippiacense) fu un concilio sotto forma di sinodo locale che si tenne nell’omonima città francese, attorno al 626. Esso si occupò, tra l’altro, del diritto di asilo per criminali e schiavi che si fossero rifugiati in chiese o monasteri (Fonti: Enciclopedia Treccani e Cathopedia.org). (8) Dagli Atti del IV Concilio Laterano del 1215.
I Mestieranti del debito
Inoltre, gran parte delle prediche ufficiali, nelle chiese come nelle piazze,
erano volte a difendere i poveri
dal potere distruttivo della diabolica arte “alchemica” dell’estorsione,
che vedeva l’umano stato di bisogno, naturale o indotto che fosse,
quale suo naturale fondamento, ragion di gaudio e conseguenza.
A reggere i giochi nacque una nuova categoria di mestieranti o specialisti del credito ad interesse, per lo più d’estrazione ebraica. Ad essi la sensibilità cattolica, quella francescana in particolare , contrappose i Monti di Pietà, luoghi privilegiati di mutuo soccorso permeati di solidarietà cristiana e simili, per certi versi, alle antiche pseudo-cooperative creditizie ebraiche dell’era mosaica (9). Il pioniere dei Monti di Pietà — realtà che da Ascoli Piceno e dalle Marche ben presto si diffusero in tutte le regioni — fu il Beato Marco da Montegallo (10) in de Marchio, discepolo di San Giacomo della Marca e autore della Tabula della Salute. Il Beato considerava i Monti di Pietà come
L’unico humano rifugio (concesso dal benignissimo Dio – Nds)
de esso sventurato popolo cristiano, manecato, stracciato e devorato dagli usurai (11).
Beato Marco da Montegallo
(9) Cfr. paragrafo 5.3 (Le prime cooperative creditizie della storia). (10) Il Beato Marco de Marchio da Montegallo (Montegallo – Ascoli Piceno – 1425; Vicenza, 19 marzo 1496) è stato un religioso italiano appartenente all’Ordine dei Frati Minori, riconosciuto come l’ideatore — o co-ideatore — dei Monti di Pietà, pensati per sottrarre le classi meno abbienti al giogo dell’usura (fonte Cathopedia.org). (11) Beato Marco da Montegallo, Tabula della salute, Venezia 1486, Cap. XI.
La riforma socio-economia di contrasto all'usura
Tuttavia il primo istitutore dei Monti — o comunque coistitutore assieme al Beato Marco da Montegallo e al Beato Bernardino da Feltre — fu tale Fra Domenico da Leonessa (12), nativo di San Severino Marche. Dopo l’esperienza di Ascoli Piceno un altro passo decisivo alla causa fu dato dalla comunità francescana, nella seconda metà del Trecento, in seno all’Eremo di San Bartolomeo di Brogliano (13) (provincia di Macerata) nei pressi di Camerino, ivi nacque una vera e propria riforma socio-economica di contrasto all’usura, alla quale aderirono, nei decenni successivi, prestigiosi accademici, universitari e vescovi. Tra i documenti più importanti dell’epoca, a testimonianza di questo straordinario fenomeno socio-economico, degna di nota è la Bolla di Papa Niccolò V (14) del 1454, approvante il Monte dei Prestiti in Ancona (15).
(12) Fra Domenico da Leonessa nacque nella prima metà del sec. XV. Incerti sono il luogo d’origine e la data: una tradizione lo vuole comunque nato a San Severino Marche (provincia di Macerata) e quindi trasferito a Leonessa (o Gonessa, Gonissa, Lagonissa nelle fonti); un’altra tradizione nato a Leonessa (provincia di Rieti) da genitori provenienti da San Severino (si veda Chiaretti, pp. 309 s. n. 30 e Enciclopedia Treccani). (13) L’Eremo di San Bartolomeo di Brogliano, situato sugli altopiani Plestini ai confini tra Umbria e Marche, fu edificato nella seconda metà del XIII Sec., ad opera degli abitanti di Colfiorito, nel 1270. Dopo un lungo contenzioso, nel 1984, la chiesa è entrata a far parte dell’arcidiocesi di Camerino, essendo situata territorialmente nella provincia di Macerata (già appartenuta alla diocesi di Nocera Umbra). Da qui, nel XIV secolo, partì una delle più esaltanti e meravigliose esperienze di rinnovamento dell’Ordine francescano nota come Riforma degli Zoccolanti, opera iniziata dapprima da Fra Giovanni della Valle (1334-1351) e poi proseguita da Fra Gentile da Spoleto (1352-1355). (Cfr. M. Sensi, Brogliano e l’opera di Fra Paoluccio Trinci, Falconara, 1975; Cfr. M. Sensi, Le Osservanze Francescane, Roma, 1985). (14) Nato a Sarzana (Spezia) il 15 novembre 1397; morto a Roma, il 24 marzo 1455. (15) Papa Niccolò V, al secolo Tomaso Parentucelli, con la bolla in questione approvò la fondazione del Monte dei Prestiti in Ancona nel 1454, uno dei più attivi e floridi del tempo. Il pontefice passò alla storia anche per aver approvato, in data 20 luglio 1447, con la bolla Pastoralis officii, il Terzo Ordine Regolare di San Francesco, quale ordine canonicamente distinto all’interno della famiglia francescana, dotato di un proprio Ministro Generale (Cfr.: Massimo Miglio in Enciclopedia dei Papi ed Enciclopedia Treccani).
Il francescanesimo e la nascita dei Monti di Pietà
La riforma legittimò ed istituzionalizzò sul larga scala il fenomeno dei Monti di Pietà, definendone la disciplina giuridica:
all’interno di essi i prestiti concessi erano privi di interesse
e venivano elargiti dietro consegna di un pegno di pari valore
— ma comunque non inferiore — poi restituito all’estinzione dell’obbligazione.
In caso contrario
il pegno veniva venduto per rimborsare la somma prestata e non restituita.
Nel Quattrocento fiorirono nelle sole Marche ben ventotto Monti di Pietà, soprattutto, come detto, grazie all’opera del Beato Marco de Marchio da Montegallo e di Fra Domenico da Leonessa. Accanto alla fortunatissima esperienza di Ancona, tra i più noti Monti di Pietà sbocciati come fiori preziosi, ricordiamo quello di San Sepolcro (1464/1466), Macerata e Recanati (1468), Fabriano (1470), Fano e Tolentino (1471), Jesi (16) (1472), Fermo (1478). Famosi anche i monti di Ripatransone (1479), Arcevia (1483), Vicenza (fuori dal territorio marchigiano – 1486) (17). I Monti di Pietà si diffusero provvidenzialmente in tutta la penisola (18) nel Tardo Quattrocento, andando a contrastare in maniera non violenta i deleteri effetti del prestito ad usura (giudaico e non). Un altro eccezionale strumento utile alla causa fu l’istituzione, presso il comune di Macerata (1492), del Monte Frumentario (19), ideato dal cattolico Andrea da Faenza, che
rendeva possibile l’anticipazione di grano alle famiglie, in periodo di necessità o carestia,
da restituirsi ex-post con il primo raccolto utile.
Tra i più attivi anche il Beato Francesco Piani da Caldarola (20) (collaboratore di San Bernardino da Feltre) e San Giacomo della Marca (21), fondatore del Monte di Pietà dell’Aquila (1466).
(16) Vedi: Giovanni Annibaldi, I banchi degli ebrei ed il Monte di pietà di Jesi, pp. 88-129 — Biblioteca francescana, Falconara M., Ancona, 1972. (17) Cfr.: Adriano Gattucci, Lo sviluppo dell’Osservanza minoritica (13681517), in AA.VV., Il Francescanesimo nelle Marche. Storia, presenze attualità, Movimento Francescano delle Marche, Ancona, 2000; Cfr.: Anselmo Anselmi, Il Monte di Pietà di Arcevia con gli Statuti del 1470, del 1483 e del 1546 e molte notizie sui Monti di Pietà delle Marche, Foligno 1894; Cfr.: Anselmo Anselmi, Il Monte di Pietà di Arcevia promosso nel 1428 da Lodovico da Camerino, riproposto nel 1470 e fondato nel 1483 da Marco da Montegallo, in “Nuova Rivista Misena”, IV, 1891, pp. 6-14; Cfr.: Anselmo Anselmi, Bolla di Niccolò V approvante il Monte dei Prestiti in Ancona nel 1454, in “Nuova Rivista Misena”, VI, 1893; Cfr.: Anselmo Anselmi, Il Monte di Pietà di Foligno, Foligno 1898; Anselmo Anselmi, Storia del Monte di Pietà di Cingoli fondato da Fra Lorenzo da Roccacontrada, in “Picenum Seraphicum”, 1, 1915; Cfr.: Anselmo Anselmi, Il Monte di Pietà di Arcevia, in “Miscellanea Francescana di Storia, di Lettere, di Arti”, V, 1890, pp. 165-179; VI, 1895, pp. 31-32. (18) Cfr.: Anna Esposito, Prestito ebraico e Monti di Pietà nei territori pontifici del tardo Quattrocento: il caso di Rieti, in Società italiana degli Storici dell’economia, Credito e sviluppo economico in Italia dal Medioevo all’età contemporanea. Atti del I convegno nazionale 4-6 giugno 1987, Verona, 1988, pp. 97-111. (19) Cfr.: Adriano Gattucci, Lo sviluppo dell’Osservanza minoritica (13681517), in AA.VV., Il Francescanesimo nelle Marche. Storia, presenze attualità, Movimento Francescano delle Marche, Ancona, 2000. (20) Provenendo dalle Marche, una regione ad economia prevalentemente agricola, Francesco Piani — questo il nome del Beato — conosceva bene le miserie dei lavoratori delle campagne costretti ad indebitarsi e a diventare schiavi degli usurai e a costoro dedicò la sua vita. Francesco fu anche un predicatore ferventissimo che sapeva sedare le frequenti liti nei paesi della sua terra, divisi da lotte violente, tra fazioni ambiziose e famiglie potenti. Il segreto del successo del predicatore di pace era semplice: parlare al popolo di giorno e passare la notte in preghiera (fonte: www.santiebeati.it). (21) San Giacomo della Marca (1393 Monteprandone, Ascoli Piceno – 1476 Napoli). La sua biografia è affidata alla testimonianza di Venanzio da Fabriano (1434-1506), confratello laico che gli fu compagno e segretario fin dal 1463 (Cfr. Marino Sgattoni, La vita di San Giacomo della Marca (13931476) per fra Venanzio da Fabriano (1434-1506)”/ studiata e edita da p. M.S. — Zara, Convento S. Francesco, 1940 (Gubbio, Tip. Oderisi); Cfr.: Tabula Librorum librarie sante Marie de gratia iuxta opidum Montisprandoni, p. 80.
Sant'Agostino contro l'usura giudaica
Così come riportato dall’esegesi cristiana tradizionale e come argomentato da personaggi del calibro di San Giovanni Crisostomo, Padre della Chiesa d’Oriente, celebre autore di Omelie contro i giudei (22), e Sant’Agostino, nel suo celebre Trattato contro i Giudei (23), nonché dall’analisi sia pur sommaria dei capitoli salienti della storia economica degli ultimi due millenni — specie di quella medievale — ci si accorge come parte di quegli ebrei votati anima e corpo ai principi talmudici sull’usura, nemici di Cristo e dei Cristiani, legittimarono a ritmi crescenti la pratica feneratizia, al fine di accaparrarsi, attraverso il prestito e il conseguente debito, i beni dei “gentili” (Cristiani), reputati falsari indegni della Terra Promessa. Sant’Agostino dedicò al tema diversi scritti, tra i quali Adversus Judaeos Tractatus e il De Civitate Dei, accusando gli storici controllori del denaro di avversare la fede di Cristo, osteggiandone il percorso con ogni mezzo e senza limiti. Le disgrazie patite dagli ebrei con la distruzione dei due templi e la successiva diaspora, rappresentano per Agostino la testimonianza della validità della religione cristiana e l’erronea interpretazione delle scritture, tutta terrena e legata al sangue e non allo spirito, fornita da scribi, farisei e seguaci di Talmud e Kabbalah.
Noi discendiamo da altre genti e tuttavia, imitando la sua virtù,
siamo divenuti figli di Abramo. (…)
Noi siamo dunque fatti discendenti di Abramo per grazia di Dio.
Dio non fece suoi eredi i discendenti carnali di Abramo.
Anzi questi li ha diseredati per adottare quegli altri (24)
( Sant’Agostino )
Ovviamente è impossibile in tal sede offrire uno squarcio esaustivo e completo sull’immensa eredità in chiave antiusurocratica, lasciata dal Cattolicesimo nel cosiddetto Medioevo; tuttavia, quanto detto è comunque sufficiente a smontare le tesi di quanti vorrebbero in modo superficiale, falso ed anacronistico, bollare come oscurantista un’epoca di gran fermento e pathos spirituale, specie verso la causa dei poveri e degli ultimi e contro le ingiustizie sociali, economiche e giuridiche, perpetrate dai signori dell’inganno monetario. Tuttavia, malgrado l’impegno profuso dai Cristiani nella lotta contro l’usura ebraica, costoro commisero un madornale errore storico, che di seguito cercheremo di ricomporre, in sintesi.
(22) San Giovanni Crisostomo, Omelie contro i giudei, C.L. Sodalitium, Verrua Savoia (TO) 1997. (23) S. Agostino, Adversus Judaeos Tractatus (Trattato contro i Giudei). (24) San Agostino, Commento su Giovanni. Discorso XLII.
L'usura ebraica e l'errore dei popoli cristiani
I Cristiani non riuscirono mai a decifrare in concreto, la chiave di lettura del segreto monetario, infatti essi a conti fatti ebbero il grande demerito storico di non aver carpito a fondo il codice del Deuteronomio e del Libro di Tobia, custodito invece dal popolo ebraico — che ne fu l’atavico depositario — specie attraverso la tradizione orale e la stessa Cabala: strumenti della tradizione che nel tempo sono serviti a difendere gelosamente il segreto dei segreti (25), quello dell’arte regia ed alchemica della “trasformazione della materia in oro”. Mistero meraviglioso e terribile capace di favorire la sottomissione di interi popoli e nazioni,
innescando processi di demonetizzazione o rarefazione monetaria su scala globale
(crisi economiche e finanziarie).
Questo segreto rivelato, come visto, muta la comprensione della storia fin dal crollo dell’Impero Romano (26). Il problema delle crisi economiche e della tradizionale e proverbiale usura ebraica nei confronti dei gentili (cristiani e non) è stata spesso e volentieri inquadrata, specie a partire dal Duecento, sotto l’unica prospettiva dell’interesse (da usura). Ma la radice dell’inganno aliena dal mero strumento dell’interesse. La demonetizzazione delle comunità cristiane che abitarono il bacino del Mediterraneo, a partire dalla diaspora, come dimostrato (27), deve essere ricondotta prim’ancora che all’interesse da usura,
all’uso improprio della ricevuta di credito promosso dal sistema monetario ebraico,
senza volatilizzazione settennale del debito.
Sistema, questo, capace alla lunga di attrarre e far proprie le immense ricchezze
in oro, argento e bronzo accumulate dall’impero romano,
d’improvviso volatilizzatesi nel nulla.
In questo processo può cogliersi una sorta di vendetta del popolo ebraico d’ispirazione talmudica, verso i dominatori romani, che nel 70 d.C. occuparono e distrussero Gerusalemme, costringendo il popolo alla diaspora. I popoli cristiani e pagani del bacino del Mediterraneo, infatti, furono costretti ad utilizzare una moneta cartacea (ricevuta di credito) che poneva gli speculatori ebraici in una posizione di vantaggio e privilegio, consentendo loro di monetizzare il mercato, avvelenandolo con una moneta che era, invero, un tributo (28).
(25) Cfr. Cap. 4.2.4.; (26) Ibidem; (27) Ibidem; (28) Cit. La Rivolta del Popolo, anno IX, n. 1, 15 gennaio 1969;
Nominalismo: la grande opera degli "eletti"
La comunità mondiale, a causa del nominalismo (la cosiddetta Grande Opera degli eletti) fu quindi ben presto asservita ad una cerchia di privilegiati, promotori di un sistema tributario-monetario iniquo, generatore di debito indotto, orientato all’espropriazione dei beni reali degli “infedeli”. Più centri triangolari di irradiazione ed emissione di questi assegni in bianco si crearono, e si creano ancora oggi, maggiore fu, ed è, la capacità di attrazione di ricchezza reale e il controllo delle masse e delle regioni. Fu questa l’essenza del segreto dei segreti nascosto alle genti nelle pieghe della storia.
Il Sistema Bancario Internazionale dei “nuovi antichi eletti”
si è, dunque, surrogato a quello di Mosè.
Il non aver compreso questo sottile inganno (quella che potremmo definire come la più colossale opera satanica della storia) è, di sicuro, l’errore più grossolano mai compiuto dai popoli cristiani. L’Illuminismo, di seguito, appose i sigilli ad un modello economico-sociale e culturale tutto orientato ad occultare queste verità e proteso, per statuto, a denigrare quanti si fossero opposti al nuovo sistema di pensiero nascente, un complesso sistema di relazioni tra intellighenzia illuminata ed élite giudeomassonico-bancaria, fondato sull’usura e sull’istituzionalizzazione del sistema bancario del debito, su scala continentale.
B.A.R.: risposta odierna all'usura legalizzata
Oggi, in tempo di rarefazione monetaria indotta ed usura legalizzata, in tempo di spread e moneta-debito creata dal nulla (e senza riserva), la storia si ripete. I veri cattolici non possono stare a guardare e devono riscoprire il nobile ed antico esempio della Chiesa Cattolica, orientato sulla resistenza non violenta e sulla proposta attiva ed alternativa, ricalcando le orme dei loro avi. Oggi urge trasformare le comunità sociali (a partire dai comuni) in cooperative di credito solidali e orientate al mutuo soccorso, proprio com'era al tempo di Mosé (mille e duecento anni prima dell'Incarnazione di Cristo) ed al tempo dei santi francescani (Mille e Duecento / Mille e Quattrocento), durante il "bistrattato" Medioevo. La Dottrina Sociale della Chiesa attende giustizia e vuol ririvere sia nell'anima dei credenti che nelle loro opere. Il grande Professor Giacinto Auriti, padre della Teoria del Valore Indotto della Moneta e del SIMEC, lo aveva capito realizzando tale "Dottrina" attraverso l'immissione nel circuito economico-sociale di valori monetari convenzionali a credito e di proprietà del portatore (e non degli usurai). Egli ideando e promuovendo il SIMEC realizzò un vero e proprio miracolo economico-sociale nel comune di Guardiagrele, fino ad allora tra i centri italiani più colpiti dalla piaga del suicidio da insolvenza. Oggi si può e si deve agire con convinzione e determinazione: le armi di mutuo soccorso esistono, basta utilizzarle.
Non farlo vorrebbe dire rientrare nella categoria degli stupidi e degli sprovveduti;
non rendere giustizia al nostro glorioso passato, alla nostra Fede e a Dio,
alla storica battaglia contro l'usura ebraica posta in essere dai santi medievali
e dalla Chiesa Cattolica.
A tal fine è stato creato il B.A.R. – Buono Comunale di Agevolazione Reddituale, uno strumento capace di dare ai sindaci la possibilità di prendere in mano il destino dei propri cittadini. Un'arma non violenta capace di mettere in moto la macchina economica della propria comunità sociale con efficienza e semplicità. Che ciascuno torni ad essere proprietario dei propri valori monetari, altrimenti l'usura indotta farà piazza pulita dei nostri cari, delle nostre famiglie e della nostra civiltà, costringendoci al suicidio, all'espatrio o alla disperazione. Non facciamoci complici dei grandi usurai e storici padroni oscuri della moneta-debito, nemici di Cristo e dell'umanità: l'immobilismo è un suicidio annunziato! L'immobilismo, una volta compreso il male e trovata la panacea, è un crimine ancor più grande!
Sergio Basile (Copyright © 2018 Qui Europa)
Tratto da: Sergio Basile, "Il Prezzo della Libertà. La Grande Truffa della Moneta in 5 Mosse", Ed. Solfanelli, 2018
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