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L'imbarbarimento dei costumi: da popolo a
plebaglia in giro per l'Europa
( l'eredità di Marx )
Capitalismo e veleno marxista: origini dell'imbarbarimento
di una società senza Dio
di Roberto Pecchioli / e Sergio Basile
Iniziativa di Libero Confronto "Pensa e Scrivi" di Qui Europa
Introduzione, integrazioni e note di Sergio Basile – Direttore "Qui Europa"
L'eredità di Marx
Premessa di Sergio Basile
Premessa – L'imbarbarimento programmato
Premessa/Introduzione – di Sergio Basile – La nostra società va sempre più verso l'imbarbarimento programmato, seguendo il velenoso orientamento filosofico (e "religioso") che Hegel, Engels e Marx "donarono" all'umanità, sotto dettatura delle sette occulte che ne animarono le "gesta". Tutto è materia, tutto è materialismo, l'anima non esiste! Tutto è da provare e da sperimentare sosteneva Marx. Il marxismo è – storicamente – l'assist ideale più prezioso che l'élite mondialista potesse fornire ai seguaci del liberal-capitalismo e del turbo-capitalismo. Disorientando gli uomini dal vero credo e dalla sana spiritualità cristiana, tipica della società organica medievale, essi (i membri del gregge umano) hanno finito per volgere la loro adorazione a se stessi e verso il biblico vitello d'oro. Fa sorridere il (falso) tentativo di molti autori marxisti, neo-marxisti e comunitaristi di contrapporre il socialismo e il marxismo ai mali del capitalismo. Quasi come se dal grembo del social-comunismo potesse nascere un germe-panacea ai mali moderni dello shopping complulsivo e del dio quat-trino, quale surrogato ideale al Dio Trino.
Il veleno-satanico marxista (Oulanem)
Quando si parla di Carlo Marx (1818-1883) nelle università italiane (1), tuttavia, l'esaltazione del personaggio è pressoché totale. Ovviamente nessuno osa uscire dal seminato e rimarcare i rapporti tra marxismo, giudeo-massoneria ed ebraismo: intese pienamente raccolte, come "preziosa" eredità, dalla neo-marxista Scuola di Francoforte (2) che un ruolo decisivo ebbe nella scristianizzazione e nell'imbarbarimento della società occidentale (e non solo). Il '68 fu un prodotto (una primizia) degli eredi di Marx e Francoforte. Rapporti stretti e indistricabili quelli tra marxismo, ebraismo e giudeo-massoneria, ammantati, tuttavia, di strategica, falsa prodigalità e "amore per il proletariato". D'altra parte Marx ebbe stretti rapporti con Giuseppe Mazzini, all'epoca capo supremo della massoneria europea e posto all'apice dela piramide degli Illuminati (setta pseudo-giudeo-massonica in orbita Rothschild). Benché il satanista Mazzini criticasse Marx – almeno così pare – mantenne fruttuosi rapporti con lui. Entrambi, tra l'altro, ebbero l’incarico di orientare "spiritualmente" e creare la Prima Internazionale. La "filantropia marxista" come riscatto sociale del proletariato è, dunque, un falso mito costruito ad arte dall'intellighenzia massonico-mondialista soltanto dopo la sua morte. Marx desiderava non liberare ma schiavizzare la società, rendendola succube di una élite di eletti e perennemente sottomessa, infelice (vedi Oulanem). Egli desiderava distruggere le fondamenta della società, al fine della costruzione di un "Nuovo Mondo", un "Nuovo Ordine" (caotico) che fosse funzionale agli interessi di dominio dell'élite mondialista (giudeo-massonica). In Oulanem (operetta satanica semi-sconusciuta al vasto pubblico) Marx esce allo scoperto e lo riconosce senza giri di parole.
(1) Cfr.: Mistero Marx – Quello che le Università Occultano
(2) Cfr.: La Scuola di Francoforte: dalle droghe al gender
La Scuola di Francoforte: la congiura della corruzione
Oulanem: qual è il dio di Marx?
Egli crede in Dio, ma crede nel dio del male, augurando all’umanità – in maniera esplicità – l'eterna perdizione. Operette "sataniche" come Oulanem, lo dimostrano definitivamente e inequivocabilmente. Egli proclamava ciò come suo ideale filosofico e "spirituale". Il suo fine – concertato con le sette occulte che ne favorirono l'ascesa e il successo (Vedi Setta della Mano Nascosta) – era la distruzione della religione cattolica in primis e del "Vecchio Mondo": fine statutario – fateci caso – dei seguaci dell'ebraismo talmudico. Il socialismo, la preoccupazione per il proletariato, l’umanitarismo non furono altro che subdoli pretesti. L'odio verso il Cristianesimo lo portò ad esultare nel momento in cui Charles Darwin confezionò il suo "The Origin of Species": opera che, seondo il profeta rosso de "Il Capitale", avrebbe assestato « un colpo mortale » al Dio dei cristiani.
"Su in alto costruirò il mio trono,
Fredda e tremenda sarà la sua vetta.
Terrore superstizioso ne sarà il baluardo,
Suo ministro, l'angoscia più nera.
Chi lo guarderà con occhio sano
Distoglierà pallido e muto come morto lo sguardo,
Afferrato da forza di morte cieca e tremante.
Possa la buona sorte scavargli la tomba
Potrò allora marciare in trionfo,
Come un dio, fra le rovine del loro regno.
Ogni mia parola è fuoco e azione
Il mio petto è uguale a quello del Creatore.(*).
(*) (Da Oulanem / Marx sognava di rovinare il mondo creato da Dio)
Sorgono i vapori infernali e mi riempiono il cervello
Sin che impazzisco e mi si cambia il cuore.
Vedi tu questa spada?
Me l'ha venduta il prìncipe delle tenebre (*).
Per me batte l'ore e dà i segni.
Sempre più audacemente suono la danza della morte.
(*) (probabile riferimento al rituale satanico giudeo-massonico)
Ed essi son anche Oulanem, Oulanem,
Il nome risuona ancora come la morte,
Risuona ancora sino a spegnersi miseramente (…).
Ho però nelle mie giovani braccia,
Di che stringervi e schiacciarvi (l'umanità personificata)
Con la forza d'una tempesta,
Mentre per entrambi l'abisso si disserra nel buio.
Sprofonderai, ed io ti seguirò ridendo,
Sussurrandoti all'orecchio, « Discendi, Vieni con me, amico! » (*)
(*) ( Marx desidera trascinare tutta l'umanità nell’abisso riservato per il Diavolo e i suoi angeli – si veda Apocalisse 20,3)
Capitalismo e veleno marxista: felice connubio
"Tutto è materia", recita il verbo marxista, accogliendo nelle vene il veleno di Oulanem; l'uomo è sostanzialmente "struttura" (economia e denaro: non spirito e materia assieme); il residuo/risultato della sottrazione tra l'uomo e la sua sostanza (inguaribilmente materialistica: secondo Marx) è la cosiddetta sovrastruttura: un qualcosa di accidentale, secondario, marginale; un contenitore che ingloba anche valori, famiglia e sentimenti religiosi. Insomma bazecole! Dalla dicotomia struttura/sovrastruttura Marx indica alle nuove generazioni la via maestra (per l'auspicata perdizione), relegando, paradossalmente, l'umanità nelle braccia del consumismo più becero e dell'edonismo sfrenato. Nella prefazione a Per la critica dell’economia politica – 1859 – egli getta le basi della concezione materialistica della storia (alla quale era pervenuto in seguito alla revisione critica della filosofia hegeliana (3) del diritto: concezione rivoluzionaria e anti-organica che concepisce la storia e le vicende dei popoli come pura attività strumentale di dominio, nella quale, evidentemente, non c'è spazio per l'adorazione al trascendente, per il bene comune e per il "servizio" dell'uomo all'uomo: postulati che sono poi l'essenza del Cristianesimo). Al centro di tale concezione sta l’idea secondo la quale i rapporti giuridici e le forme dello Stato hanno le loro radici nei "rapporti materiali dell’esistenza", cioè – in ultima istanza – nei rapporti di produzione (cioé nel denaro e nell'idolo: essenza del comunismo, ma anche del capitalismo). secondo Marx e i marxisti suoi successori «l’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale». Secondo Marx questa realtà «condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita».
(3) Cfr.: di Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770 – 1831)
La curiosa ammissione di Engels
Più tardi anche un altro falso profeta di nome Friedrich Engels (1820-1895), suo malgrado, riconobbe implicitamente le responsabilità (gravissime) dell'impianto delineato da Marx. In una lettera a J. Bloch del 21 sett. 1890 Engels scrisse: «Che i discepoli diano talora all’aspetto economico più posto di quanto gli spetti, è in parte colpa di Marx e mia. Di fronte ai nostri avversari noi dovevamo porre l’accento su questo principio fondamentale che costoro negavano e non sempre avemmo il tempo e l’occasione di mettere nel giusto risalto gli altri momenti partecipi dell’azione reciproca». Se consideriamo l'humus settario dell'incubatrice delle teorie hegeliane, engeliane e marxiste (talmudismo giudeo-massonico, Alta finanza ed élite bacaria internazionalista) comprendiamo, tuttavia, come i cosiddetti "avversari" di cui parla Engels, siano in realtà i sui più stretti "compagni" rivoluzionari" (compari degli "eroi del proletariato"). Compagni che qualcuno chiama oggi "capitalisti", senza comprendere – o rifiutandosi deliberatamente di farlo – la vera radice del male.
Il germe del disordine
Più avanti il compagno Gramsci (1891-1937) nei Quaderni del carcere, riabilitò, in parte, la cosiddetta "sovrastruttura", riassegnando un grande rilievo alle ideologie (sovrastruttura per Marx), esaltando la loro capacità di mobilitare masse di uomini, e quindi di cambiare la società nel suo complesso. Il problema è che – in questa enorme contraddizione di termini – l'ideologia social-comunista portava in sé il germe del disordine sociale, negando l'influenza della religione (cristiana), dello spirito, dell'etica e dell'anima (bazecole per i marxisti). Insomma, una sovrastruttura rossa intrisa di "mito strutturale" non poteva che esplodere in una enorme deflagrazione di contraddizioni: incongruenze ideologiche e "spirituali" cui frutti sono stati il Sessantotto e – venendo ai giorni nostri – l'amore smodato per il consumo, per la bramosia del possesso, quale surrogato ideale ai beni dello spirito e dell'anima, completamente disconosciuti e relegati in uno strano oblio. Lo spirito marxista trova, quindi, perfetta sintesi nell'attuale deriva edonistica e consumistica e nell'imbarbarimento dei costumi sociali e morali ai quali assistiamo quotidianamente, specie in questa calda estate di false flag e scontati eccessi. Essi sono i complici – poco occulti – della trasformazione di un popolo e di una nazione, in un'orda di barbari. Non è un caso, evidentemente, l'appartenenza di Marx, all'albero genealogico Rothschild (vedi allegato).
Sergio Basile (Copyright © 2016 Qui Europa)
Karl Marx rientra nell'albro genealogico dei Rothschild
Plebaglia in giro per l'Europa?
contributo di Roberto Pecchioli
L'involuzione della specie
Roma, Formentera – di Roberto Pecchioli – Le cronache estive abbondano di notizie enfatizzate ad arte per sopperire alla scarsità di informazioni importanti. Nell’anno di grazia 2016, purtroppo, tra guerre al portone di casa, sbarchi di finti profughi, proteste di cittadini infastiditi non dal loro arrivo, ma dalla vicinanza fisica alle loro abitazioni od ai luoghi di vacanza, "crisi bancaria" e giochi olimpici – con annesse nuotatrici italiane lesbo – le “news” (chiamarle così fa tanto cosmopolita…) abbondano. Ciononostante, nella cronaca che una volta si sarebbe definita bianca, quella, per intenderci, da chiacchiere leggere sotto l’ombrellone, una notizia colpisce e costringe a qualche riflessione. Nell’isola di Formentera, la sorellina minore della vicina Ibiza, e meta turistica quasi altrettanto gettonata, cresce l’ostilità contro i turisti italiani, con liti e scritte sui muri “fuera los italianos”. Sappiamo tutti per esperienza personale quanto le giovani generazioni europee vivano in maniera totalizzante i periodi di vacanza, di cui parlano per mesi prima e dopo, a cui affidano sogni e desideri, e durante le quali dormono pochissimo o non dormono affatto per giorni e giorni, pur di cogliere tutte le occasioni di un divertimento elevato a scopo della vita. Molti inglesi si distinguono in negativo per l’ubriachezza e per le continue risse, tedeschi e nordici sfogano nell’Europa meridionale le pulsioni represse dalle loro parti e sembrano godere nell’infrangere quelle regole che per tutto l’anno in patria seguono come soldatini. Gli italiani, sino a pochi anni fa, erano apprezzati, da turisti, per la propensione a spendere con liberalità ed anche perché il loro comportamento, al netto di qualche eccesso o caso isolato, era generalmente migliore rispetto a quello di molti altri. Non è più così: siamo diventati europei anche in questo, evviva! Sarà l’omologazione consumistica, l’ascolto della stessa musica ritmata ed obiettivamente fracassona, sarà che viaggiamo di più, ma gli italiani, ed innanzitutto la generazione Erasmus si distingue in negativo. In particolare, si diffondono due difetti distinti, ma complementari: l’ignoranza e la volgarità.
Indifferenza morale: malattie delle classi ricche
Nel suo Diario intimo, lo scrittore svizzero Henri Fréderic Amiel scrisse un aforisma di bruciante verità:
“Se l’ignoranza e le passioni sono i nemici della moralità nel popolo,
bisogna confessare che l’indifferenza morale
è la malattia delle classi colte.”
Nella realtà italiana contemporanea, rispetto a queste parole, occorre prendere atto che non esistono più classi colte, o aristocratiche, ma solo ricche, e che alla parola cultura si può sostituire la più generica “istruzione”. Molti italiani, infatti, sono istruiti, ed ostentano il titolo di dottore con enfasi ben maggiore di quanta ne avesse un eroe di guerra mostrando le medaglie conquistate sul campo. Eppure, la decadenza italiana è frutto del combinato disposto di volgarità ed ignoranza. Un’ignoranza di tipo nuovo, quella che sperimentiamo ogni giorno tra i connazionali; non si tratta più della modesta istruzione, o dell’analfabetismo delle precedenti generazioni, ma di qualcosa di assai peggiore. Innanzitutto esiste l’ignoranza del finto colto, i cui titoli di studio sono stati acquisiti (evito di scrivere conquistati…) in una scuola di mediocre livello, con insegnanti troppo spesso interessati solo agli orari più favorevoli (sabato o lunedì devono essere liberi, perbacco!), alle graduatorie per i trasferimenti, alle infinite riunioni che organizzano per i più disparati motivi, e, all’università con il grottesco sistema dei crediti e l’ossimoro della laurea breve. Si tratta in genere di persone persuase che il pezzo di carta li abbia proiettati di diritto nella classe dirigente, con gli onori relativi – denaro e prestigio sociale – ma senza le responsabilità ed i doveri connessi.
Il prototipo dell'ignorante strutturale
Poi ci sono gli ignoranti “strutturali”, o funzionali, quelli che se ne infischiano di tutto, vivono alla giornata, felici di sé più di sazi bovini d’allevamento , pronti a tutto, perché “si vive una volta sola”, decisi a rivendicare ogni diritto, pretendere di decidere su tutto, quelli che hanno un’opinione precisa su qualunque cosa – inevitabilmente la più diffusa e promossa dal potere – specie su ciò di cui non sanno nulla. Uno di costoro, alla vista dell’immagine sullo schermo del p/c di chi scrive (il grande quadro La scuola di Atene di Raffaello) ha esclamato: quanti bei colori, sembra fatta col computer! Un altro esponente della categoria, analizzata con tanta perfezione dall’opera di Ortega e di cui ha dato la più fulminante definizione Maurizio Blondet, selvaggi con telefonino, tra i tanti tatuaggi che ornano il corpo accuratamente depilato, ne ostenta uno con il nome del suo cane in alfabeto maori, utilissimo in Nuova Zelanda. Madamina, il catalogo è questo. A Formentera, un piccolo guappo italiota ha sparato un razzo dal suo yacht (il pane a chi non ha denti…) provocando un incendio in una zona protetta di grande pregio, l’isolotto di Espalmador con i fanghi naturali, le dune, il mare dal colore straordinario. Un isolano ha detto, molto opportunamente, che i cretinetti italiani dal baccano facile (e non solo gli italiani) sono inconsapevoli di dove si trovano, ignari della bellezza che sfiorano e calpestano. Un’ignoranza soddisfatta, unita all’indifferenza morale che imitano dalle classi agiate, di cui in vacanza vedono da vicino barche, ville, luoghi di ritrovo, modi di vita.
Neoplebi consumiste (figlie di Marx)
Gli unici interessi di queste neoplebi consumiste e desideranti (per usare un'espressione cara al teorico marxista Costanzo Preve: che tuttavia non coglie la strettissima relazione tra marxismo, materialismo e patologie consumistiche – Ndr) sono la cura maniacale per il corpo, che mostrano con compiaciuto esibizionismo, compresi naturalmente costosi tatuaggi senza significato, o con simbolismi imbarazzanti, il presenzialismo, che spazia dalla spiaggia alla moda come Formentera sino alla sagra delle frittelle, al concerto di massa, alla frequentazione di discoteche; sono l'attenzione smodata e idolatrica (Ndr) per palestre e centri benessere. Arrivano nelle località prescelte con i voli “low cost” muniti di zaini o trolley dalle misure rigorosamente entro i limiti della gratuità del trasporto, dormono quel poco sulle spiagge. Nel caso di Formentera, sembra che le loro principali occupazioni, oltre alle urla scomposte, ai giochi rumorosi in spiaggia, alla musica a tutto decibel e naturalmente a contorsioni ed approcci fisici al limite dell’osceno, sia quello di partecipare ad aperitivi nei locali trendy, esibire le tenute più bizzarre, ridere sguaiatamente. Il quadro odierno, aggravato dalla stagione estiva in cui si allentano gli ultimi freni e cadono le residue barriere della buona educazione, ci mostra plebi scarmigliate coperte di stracci firmati (la moda impone pantaloni strappati), non di rado seminude anche lontano dalle spiagge – si sprecano gli ombelichi al vento con perline, anelli o disegni – arroganti e inutilmente rumorose, che non si siedono ma si stravaccano, che non cedono il passo, si muovono in branco e sembrano vivere in una dimensione di noncuranza per tutto e tutti.
L'ostentazione del tamarro
Se si recano nei locali o nelle discoteche, mostrano le acconciature più bizzarre, indossano gli abiti più strani o azzardati, l’atteggiamento da gran donne navigate e un po’ sgualdrine, o , per gli uomini, quello dei tamarri vestiti a festa e gran conquistatori. Tutti ostentano l’ultimo modello di i-phone, per cui sono stati disposti a code interminabili, e smanettano accanitamente sui tasti del display. Michelangelo Antonioni fece la sua fortuna artistica sul tema dell’incomunicabilità, ma tutti costoro, che cosa hanno di così urgente o definitivo da comunicare al mondo via sms o mms,? In genere l’ultimo autoscatto o selfie, realizzato dovunque ed in qualsiasi situazione o postura, con l’aiuto dell’apposita bacchetta-prolunga venduta dagli ambulanti di colore, da commentare accanitamente, massimo 140 caratteri su Twitter, e consegnare all’eternità attraverso le reti sociali, come Facebook o Instagram . La volgarità è in quello che fanno e come lo fanno, nella condotta quanto nell’atteggiamento, nel linguaggio fatto di parolacce a raffica e poche parole multiuso, nel disprezzo evidente di tutto e nell’indifferenza stolida, ignara della bellezza e della complessità. Paiono a loro agio solo nei non luoghi: aeroporti, supermercati, locali di divertimento: quelli sono tutti uguali, Milano, Ibiza, Vladivostok, che meraviglia il mondo globale a taglia unica!
La via della volgarità
Arrivano le ferie, e se scelgono Ibiza o Formentera, giro dei locali notturni con sballo, consumo compulsivo di alcolici o droghe – bisogna pur tenersi svegli per la settimana low cost, spiaggia al pomeriggio, e, sempre, urla, maleducazione, fastidiose risate di gruppo, poi gelato ed aperitivo alla moda, ci si cambia, e via, verso nuove avventure, nuove precarie conoscenze, esperienze sempre più estreme. Lo cantava Vasco, Voglio una vita spericolata, una vita come Steve Mc Queen, una vita che non si dorme mai. Ogni epoca ha i suoi maestri. Quel che c’è attorno non interessa nessuno, i colori dei tramonti mediterranei come le meraviglie della natura o le opere d’arte; interessano solo i parallelepipedi delle discoteche, le luci psichedeliche, il ritmo scandito dai disc jockey, al massimo le colorate elaborazioni dei creatori di cocktails e la fantasia dei gelatai. Dinanzi alle Tre Cime di Lavaredo, dal lato di San Candido, spettacolo della natura che commuove ed ispira pensieri profondi, stupore e meraviglia , un chiassoso gruppo disceso dal torpedone turistico compì, in successione, due gesti: il primo fu scattare compulsivamente foto con il cellulare, il secondo posizionare in gran fretta figli, amici o parenti di fronte alle straordinarie montagne dolomitiche. La comitiva risalì frettolosamente sul bus ad un cenno della guida, ma tutti potevano dimostrare, foto alla mano, di essere stati proprio lì, davanti ad un maestoso monumento del creato. La volgarità è quella: non guardare, non voler capire, non avere alcun interesse duraturo, passare oltre rapidamente , trascurare tutto ciò che non interessa, anzi non intriga in quell’istante. Altrettanto volgare è imporre la propria presenza con schiamazzi o urla, esattamente come ostentare il corpo o la bizzarria del vestiario.
Primitivismo puro
Quanto ai tatuaggi, rappresentano assai bene la regressione della specie. Arte antichissima e non di rado pregevole, nelle civiltà a noi più vicine è stata utilizzata quasi sempre da categorie o gruppi sociali marginali, o stigmatizzati, come carcerati o marinai. Generalmente, l’iconografia aveva un simbolismo preciso e riconoscibile. Oggi, indipendentemente dall’indubbio talento di certi professionisti, si tratta per lo più di arabeschi astratti, oppure, ed è persino peggio, di qualsiasi disegno che accontenti manie, ghiribizzi o preferenze improvvise dei committenti: ecco allora coloratissime ciliegie dietro le orecchie, stemmi di squadre di calcio, nomi di fidanzati/e, disegni di animali, adesso anche frasi da Baci Perugina, da sottocultura di gruppo o da suburra. Di frequente, la presenza di tatuaggi si accompagna ad anelli al naso, orecchini e piercing. Primitivismo puro, ritorno allo stadio tribale!
Il conformismo degli anti-conformisti
Può, una generazione siffatta (intrisa di materialismo e marxismo pratico – Ndr) comportarsi civilmente a Formentera o altrove? E comunque, chi si sarebbe incaricato, negli ultimi decenni, di insegnare qualcosa, o, orrore massimo, trasmettere buona educazione? Il problema più complicato è far comprendere la negatività di molte condotte: si viene derisi, nel caso migliore non ascoltati, più spesso tacciati di essere prigionieri del passato, e, massimo del ridicolo, di essere conformisti. Neppure li sfiora l’evidenza che i conformisti sono loro, gli urlatori tatuati pieni di alcool, arroganti e triviali. Becerume. La presente è una generazione becera, inconsapevole, vittima di quella precedente (vittima del Sessantotto – Ndr) vissuta nella dogmatica della libertà senza limiti ( libertà “da” qualunque cosa) che, a furia di aborrire i divieti, ha proibito il pensiero libero (o meglio ogni traccia di spiritualità e di "anima" – Ndr) la decenza, il decoro, il rispetto per sé e per il prossimo, spacciato e scambiato per anticaglia borghese. Non sanno che proprio la gente semplice era quella che più teneva ad indossare l’abito ben tenuto, il cappello perfettamente calzato, ad essere pettinati e sbarbati: magari solo per imitazione, ma era così.
Generazione perduta
Torniamo quindi agli esempi, alle responsabilità drammatiche, davvero storiche delle classi dirigenti. Pensiamo a Lapo Elkann, colto strafatto tra le braccia di un transessuale, a cantanti ed attori che cambiano amanti come una ballerina i costumi di scena, a politici ladri e mentitori, alle trasmissioni televisive costruite sulle risse o le liti più grossolane, i modelli della velina e del tronista, o, al contrario del sedicente manager o finanziere in giacca e cravatta pacchiana per imbrogliare i gonzi, le cantanti truccate e pressoché travestite (Madonna docet), i docenti (ai paroloni ci tengono) che si fanno dare del tu, si vestono come i muratori al cantiere o le donne delle pulizie al lavoro, dall’aria infastidita , sovente sboccati.Padri e madri, poi, quando ci sono, non vieterebbero ai rampolli neppure i baccanali o le fughe scolastiche, pagano senza fiatare tutti i capricci, con la scusa che tanto i soldi se li procurerebbero in modo peggiore o che loro, in giovinezza, non hanno potuto fare le stesse cose. Inutile attardarsi in analisi sociologiche sofisticate: questa è la terza generazione perduta, e non ce lo lasceremo dire dagli isolani di Formentera, i cui connazionali non sono migliori, tra bevute giovanili di massa ( il “botellòn) , il vandalismo di strada e la vasta adesione a movimenti che fanno dell’odio campanilistico una bandiera.
Il vero "cafone"
Dall’Italia meridionale si è diffuso ovunque l’epiteto di cafone, riferito a chi ha modi rozzi e comportamenti volgari. Ma i cafoni altro non erano che i contadini poveri, i dannati di un lavoro durissimo, ingrato e privo di reddito. Il termine derivò probabilmente dall’abitudine di molti contadini di recarsi alla fiere con una fune arrotolata alla vita ( c’a fune) , per portar via il bestiame. Ignazio Silone, lo scrittore di Fontamara, utilizzò molto quella parola, con affetto, riferita ai suoi amati contadini abruzzesi, illuso che nel futuro il termine avrebbe assunto una valenza positiva. No, si è solo trasferito a qualcuno che con la terra , faticosa e bassa, non ha niente a che fare, ma vive in uno vuoto spirituale ben peggiore di quei poveri braccianti analfabeti. Quest’ampia generazione di beceri analfabeti funzionali potrebbe, ma non vuole. Ciò che vuole è rotolarsi tra ferie, acquisti compulsivi, tanto c’è il babbo, o, per chi ha un’età adulta, l’American Express o il credito al consumo, esperienze sempre nuove, ogni volta un po’ oltre, perché l’asticella, come nel salto alle Olimpiadi, va posta sempre più in alto, affinché ci sia il brivido, l’emozione, l’adrenalina.
Gregge monodimensionale e ben addomesticato
Chiamiamoli "cafoni", se proprio non ci sono altri vocaboli nella nostra lingua, impoverita proprio dalle semplificazioni da messaggini, dalle sigle e dalla pigrizia. Ma nel nostro caso cafone è parola del politicamente corretto: plebe è più netto e più vero. Come gli altri europei e più di loro – in qualcosa sappiamo ancora primeggiare – non siamo più un popolo e nemmeno una tribù, che ha comunque regole, capi e principi (o almeno rischiamo di non esserlo più – Ndr). Solo una plebe senza un volto ed un cuore, uomini ad una dimensione, come li descrisse Marcuse (Scuola di Francoforte – (*) – Ndr) , uno dei peggiori responsabili dell’ involuzione, aizzata da tribuni che non si chiamano più Tiberio e Caio Gracco, ma , per una paradossale inversione dei ruoli, sono i super potenti e super ricchi. Quelli che controllano i nostri consumi, le nostre preferenze, i gusti, persino la forma dei nostri corpi, quelli che sanno dove ci troviamo e perché. Forse non meritiamo neppure il nome di plebe. Siamo ormai un gregge, indisciplinato solo in apparenza, ma in realtà fatto e vissuto come ci vuole il pastore: gli serviamo ignoranti, beceri, urlanti e sparsi. Era più difficile condurre al macello i cafoni di una volta, gente che sotto l’abito rozzo ed i modi spicci conservava l’anima.
(*) Cfr.: La Scuola di Francoforte: la congiura della corruzione
La Scuola di Francoforte: dalle droghe al gender
contributo di Roberto Pecchioli
Iniziativa di Libero Confronto "Pensa e Scrivi" di Qui Europa
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