di Sergio Basile, Redazione Papaboys 3.0 e redazione Quieuropa
Iniziativa di Libero Confronto, di Quieuropa
Dopo l'incontro per la Pace in Vaticano – Bilanci e prospettive
Roma, Città del Vaticano – di Sergio Basile, Papaboys 3.0 e Redazione Quieuropa – Domenica scorsa l'incontro di Papa Francesco in Vaticano con i Presidenti d'Israele e Palestina, Shimon Peres e Mahmoud Abbas, alla presenza del Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I e del custode di Terra Santa padre Pizzaballa ha rappresentato sicuramente un momento storico di assoluto rilievo, un’immagine indelebile destinata a restare nella mente di tutti: un incontro voluto dal Papa dopo la visita in Terra Santa, per riportare al centro dei media nazionali ed internazioali la questione (delle questioni) della pace in Medioriente. Le invocazioni sono risuonate in lingue diverse, infatti, ma tutte rivolte alla richiesta di pace nella regione in questione. Dopo i discorsi di Francesco e dei due presidenti, è seguito l’incontro privato. "Chiedo a tutte le persone di buona volontà – aveva scritto il Papa in un tweet di qualche giorno fa – di unirsi a noi nella preghiera per la pace in Medio Oriente". La forza della preghiera per arrivare alla pace in Medio Oriente, e questa forza si è elevata da un piccolo angolo dei Giardini Vaticani, dove Francesco, Shimon Peres e Mahmoud Abbas hanno pregato l’uno accanto all’altro. Tre diversi momenti di grande emozione per ringraziare Dio della Creazione, per chiedere perdono, per invocare la Pace, preceduti dagli abbracci tra il Papa e i due leader e tra gli stessi Peres e Abbas, alla presenza del Patriarca Bartolomeo I. Pace fra i popoli, hanno ripetuto ebrei, cristiani e musulmani, nelle loro preghiere, pace in Terra Santa hanno detto nei loro discorsi il Papa e i due presidenti. “Spero che questo incontro sia un cammino alla ricerca di ciò che unisce, per superare ciò che divide – ha detto Francesco – un incontro accompagnato dalla preghiera di tantissime persone”, di religioni, culture e patrie diverse, ma che hanno pregato per un momento che, ha aggiunto Papa Francesco, “risponde all’ardente desiderio di quanti anelano alla pace e sognano un mondo dove gli uomini e le donne possano vivere da fratelli e non da avversari o da nemici”.
Un discorso destinato ad entrare nella storia
“Signori Presidenti – ha poi continuato – il mondo è un’eredità che abbiamo ricevuto dai nostri antenati, è vero, ma è anche un prestito dei nostri figli: figli che sono stanchi e sfiniti dai conflitti e desiderosi di raggiungere l’alba della pace; figli che ci chiedono di abbattere i muri dell’inimicizia e di percorrere la strada del dialogo e della pace perché l’amore e l’amicizia trionfino”. Quei figli sono caduti sotto i colpi di guerra e violenza, e in memoria di quegli stessi figli, affinché il loro sacrificio non sia vano, Francesco ha chiesto ai suoi ospiti di avere “il coraggio della pace, di perseverare nel dialogo ad ogni costo, e di avere la pazienza di tessere la trama sempre più robusta di una convivenza rispettosa e pacifica”. “Per fare la pace – ha aggiunto nell'occasione – ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo”. Per arrivare alla pace, dunque, ci vuole l’aiuto di Dio. Il Papa ha ricordato che la storia insegna che le sole forze degli uomini non bastano per raggiungerla, di qui l’urgenza di “alzare tutti lo sguardo al Cielo e riconoscerci figli di un solo Padre”. Il Papa ha quindi chiuso con una preghiera per chiedere l’intercessione della Madonna e che la parola ‘pace, shalom, salam’, diventi stile della nostra vita.
L'ordine mondiale dipende dal Medioriente
Un sentito ringraziamento a Francesco per aver condotto alla realizzazione dell’incontro in Vaticano è stato rivolto sia da Shimon Peres sia da Mahmoud Abbas che, in successione, hanno preso la parola per il loro discorso. Il Presidente israeliano, che ha definito il Papa “costruttore di ponti di fratellanza di pace”, ha elevato la sua invocazione ribadendo la necessità di adoperarsi tutti per raggiungere la pace, anche a costo di sacrifici e compromessi, perseguendola anche quando sembra lontana, per portarla ai figli, perché questo è il dovere e la missione santa dei genitori: (parole in ebraico) “Due popoli – gli israeliani e i palestinesi – desiderano ancora ardentemente la pace. Le lacrime delle madri sui loro figli sono ancora incise nei nostri cuori. Noi dobbiamo mettere fine alle grida, alla violenza, al conflitto. Noi tutti abbiamo bisogno di pace. Pace fra eguali”. La realizzazione della verità, della pace e della giustizia in Palestina è stata la richiesta di Mahmoud Abbas, perché il popolo palestinese, musulmani, cristiani e samaritani, desiderano una pace giusta, una vita degna e la libertà, un futuro prosperoso con libertà in uno Stato sovrano e indipendente. Abbas ha quindi citato Giovanni Paolo II, quando disse: “Se la pace si realizza a Gerusalemme, la pace sarà testimoniata nel mondo intero”: (parole in arabo) “Perciò ti chiediamo, Signore, la pace nella Terra Santa, Palestina e Gerusalemme, insieme con il suo popolo. Noi ti chiediamo di rendere la Palestina e Gerusalemme in particolare una terra sicura per tutti i credenti, e un luogo di preghiera e di culto per i seguaci delle tre religioni monoteistiche”. Con le parole del Papa, del presidente israeliano e di quello palestinese – come ricorderete – si è chiuso l’incontro di preghiera per la pace in Medio Oriente, suggellato dal gesto di pace di un cordiale abbraccio e da quello del piantare un ulivo di pace a memoria di un evento – ribadiamo – di portata storica.
Oltre l'albero
Tutto meraviglioso certo! Come l'albero piantato nel giardino Vaticano. Ma senza giustizia e verità la pace non potrà mai realizzarsi. Perciò – aggiungiamo – se i "non credenti" e i credenti di tutto il mondo (sacerdoti in primis) non si decideranno a ben indagare le ingiustizie e a denunciare ciò che sta accadendo davvero in Israele, terra di appressione delle comunità palestinesi, il tutto rimarrà solo e soltanto un esaltante momento coreografico. La buona fede, dunque non basta! Non basta assolutamente! Se i cercatori di verità non cresceranno nella Chiesa e con coraggio molti tra quanti oggi hanno paura di questa verità, perchè probabilmente troppo più grande e pesante di loro non impareranno a denunciare le nefandezze sioniste che – specie dal 1944 ad oggi – umiliano l'Europa e il Medioriente (Palestinesi in primis… ma anche Siriani, ecc…) nulla cambierà mai! Allora – se così non fosse – l'incontro lodevole promosso dal Papa sarà ben presto relegato nel dimenticatoio della storia e verrà presentato e ricordato dai posteri come un mero spot pubblicitario che anziché avvicinare i cristiani e svegliare quella parte di chiesa assopita (ed irretita dagli inganni perpetrati dalla massoneria ecclesiastica, purtroppo – come denunciò in tempi non sospetti lo stesso Padre Pio – ben infiltrata all'interno delle strutture ecclesiali del corpo mistico di Cristo e dei suoi fedeli) finirà per distrarla dalla sua vera missione: cercare e dire sempre la verità, denunciando i crimini contro l'umanità. D'altrande – notizia di questi giorni – denunciata dall'ottimo articolo di Elias Akleh (di countercurrents.org) ad oggi – ad esempio – va avanti il genocidio delle risorse idriche da parte d'Israele nei confronti delle comunità palestinesi. Ma la notizia sembra non destare (evidentemente per ignoranza o timore… o mala fede di chi dirige alcuni organi di stampa) particolare interesse presso alcuni élitari ambienti cattolici. Ovviamente nella stragrande maggioranza dei "veri cattolici" (e non di quelli da etichetta e basta) essi trovano la giusta eco.
Genocidio idrico nei territori palestinesi – La punta di un iceberg
"Molte città palestinesi in Cisgiordania e in particolare nella Striscia di Gaza – ha denunciato Akleh – devono affrontare la carenza cronica di acqua potabile. Le comunità rurali sono virtualmente prive di acqua e dipendono soprattutto dalle forniture assai costose delle cisterne d'acqua. (…) Nelle principali città i Palestinesi hanno accesso a una media di soli 70 litri d'acqua per persona al giorno per uso domestico e igiene personale, molto meno rispetto alla quantità minima raccomandata di 100 litri da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Nelle aree rurali i palestinesi sopravvivono con 20-30 litri di acqua per persona al giorno, mentre le limitrofe colonie illegali israeliane (insediamenti), costruite su terra palestinese sottratta, godono di illimitata e costante fornitura di acqua sia per uso personale che ricreativo (piscine, parchi e giardini).
Schiavitù dell'acqua nelle comunità rurali palestinesi
È stato stimato che il 44% dei bambini palestinesi nelle zone rurali soffrono di diarrea – la maggiore causa di morte dei bambini sotto i 5 anni nel mondo a causa della scarsa qualità dell'acqua e degli standard di igiene. (…) La capacità dell'Autorità palestinese di sviluppare il suo settore WASH per far fronte alle priorità nazionali, è stata fortemente limitata dalle politiche israeliane. I palestinesi non sono stati in grado di costruire le infrastrutture dei servizi idrici necessarie su larga scala per garantire acqua e servizi igienico-sanitari alla popolazione. Tra il 1995 e il 2011 l'Autorità palestinese ha presentato 30 proposte relative ai progetti degli impianti per il trattamento delle acque reflue al JWC per l'approvazione. Solo quattro di queste, relative a riparazioni minori, sono state accettate.
Diritto alla Giustizia – Diritto all'Acqua – Diritto alla Pace
Sempre nel 2011, l'Autorità palestinese ha presentato 38 progetti per rimettere in funzione i pozzi d'acqua ad uso agricolo, ma il JWC ha approvato solo tre di essi. (…) A causa delle artificiose carenze di acqua imposte da Israele e della mancanza di impianti di trattamento delle acque reflue e delle reti fognarie, la maggioranza dei palestinesi ha dovuto ricorrere alla vecchia pratica di costruire pozzi d'acqua privati, pozzi neri e fosse settiche. Nelle aree rurali i palestinesi dipendono dalle vasche di raccolta d'acqua piovana, dalle cisterne e dai serbatoi d'acqua. Ciò aumenta i timori per la salute pubblica e per i danni all'ambiente". E questa è – evidentemente – solo la punta di un iceberg colossale… che molti fingono di non vedere e omettono di denunciare.
di Sergio Basile, Redazione Papaboys 3.0 e Redazione Quieuropa
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