– di Antonio Pimpini –
Redazione Quieuropa, Giacinto Auriti, Antonio Pimpini, Giacinto Auriti, Guardiagrele, Demone dell'usura, Università di Teramo, [...]
Domenica, Aprile 1st / 2012
Commissione europea / Commissione Rapporti Interistituzionali / Comitato delle Regioni / Democrazia diretta / European Citizens Initiatives / Iniziativa Popolare dei Cittadini Europei / Parlamento Europeo / Comitato promotore / Ingerenze tecnocratiche / Deficit spending / Deriva tecnocratica / Esercizio democrazia diretta / Legittimazione / Limiti temporali / Limiti numerici/ Giudizio preventivo / Trattato di Lisbona / Clausole di esclusione / Formazine del comitato proponente / Discrezionalità / Ricevimento comitato proponente / Maros Sefcovic / Mercedes Bresso
ECI – Iniziativa Legislativa Popolare Diretta:
da oggi al via nell'Ue –
Opportunità, limiti e storture democratiche:
l'analisi di "Qui Europa"
Vera democrazia o palliativo tecnocratico?
Bruxelles – oggi, Domenica 1° aprile, nell’Unione Europea entra in vigore l’Eci (European Citizens Initiatives) un nuovo meccanismo pensato per promuovere leggi europee di iniziativa popolare sulla base della raccolta di un milione di firme. L'iniziativa di primo acchito sembra davvero lodevole ma, entrando più nello specifico della sua disciplina regolamentare, l’Osservatorio “Qui Europa”, analizzando a fondo il funzionamento del nuovo meccanismo “democratico” ha notato la presenza di alcuni elementi contraddittori, o comunque lacunosi, che di fatto rendono farraginoso l’esercizio di una reale ed efficiente democrazia diretta, e che ci fanno storcere il naso, convincendoci sempre più del fatto che l’Europa stia intraprendendo una marcata china tecnocratica ed a tratti distante da una chiara e lineare tutela della sovranità popolare. Alcuni osservatori internazionali, premi nobel, economisti ed esperti di geopolitica parlano addirittura – trovandoci d'accordo – di "palese deriva tecnocratica".
Depauperamento della democrazia europea
Deriva cui punti di massimo sono stati raggiunti come noto, ma come la stampa nazionale spesso dimentica o sminuisce con assurde giustificazioni – come ad esempio il livello troppo alto dello spread durante il governo Berlusconi: magari dimenticando che con il governo Monti tale livello è stato abbondantemente superato – con la gravissima imposizione di governi tecnici attraverso veri e propri “colpi di stato legalizzati” che hanno depauperato di ogni fondamento le costituzioni di Paesi come Italia e Grecia: eleggendo a paladini della rinascita democratica due ex-banchieri già noti alla tecnocrazia europea e non solo, quali Mario Monti e Lucas Papademos, cui curriculum ci parlano di passati divisi tra Trilateral Commission, Goldman Sachs, board Bce e Commissione Ue. Due premier non eletti da nessuno, che non dovranno rispondere a nessuno del loro operato, ma stranamente salutati come “salvatori della patria” dalla stragrande maggioranza dei leader dei partiti politici di maggioranza (tutti uniti in un grande minestrone a difendere il “golpe” proprio nell’anno delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia) ma che molteplici osservatori internazionali – seri ed intellettualmente onesti – hanno condannato senza mezzi termini. Ciò, tra l’altro, denunciando l’appiattimento del dibattito politico favorito dall’indifferenza e dal silenzio compiaciuto di molti media senza spina dorsale.
Abolizione antidemocratica del “Deficit spending”
Panorama europeo, tra l’altro, reso poi ancor “meno democratico” dall’adozione di scelte importanti e cruciali – per 500 milioni di Europei – attraverso il metodo intergovernativo, rilanciato dalla procedura per il Trattato sul Fiscal compact che di fatto ha abolito – sotto un velo di “normalità” ed indifferenza generale dei media e della politica, e senza alcuna autorizzazione dal basso – il deficit spending degli stati dell’Eurozona: ovvero la possibilità di investire a debito da parte degli stati, che il tal modo hanno rinunciato grazie al Prof. Monti – per quanto attiene l’Italia – al ruolo fondamentale finora svolto dallo Stato, cioè all’impiego delle entrate fiscali e del debito per creare ricchezza attraverso gli investimenti. Dunque la stessa funzione redistributiva e moltiplicativa dei gettiti fiscali introitati è stata di fatto affidata al capitale privato: 1) attraverso la sottoscrizione di titoli di Stato a tassi altissimi (grazie al perverso meccanismo del rating e dello spread) da corrispondere – a carico dei cittadini – a speculatori, banche d’affari e sottoscrittori privati, che in tal modo riescono a generare ricchezze sempre più “spropositate” dal nulla; 2) attraverso un ricorso sempre più massiccio al capitale privato diretto ed al contestuale fenomeno delle privatizzazioni che hanno di fatto trasferito i fiori all’occhiello del made in Italy a lobby e multinazionali estere, o Banche d’Affari: soprattutto verso le statunitensi Goldman Sachs e Morgan Stanley. Ciò in nome di una crescita che è di per sé impossibile, visto il drammatico processo di delocalizzazione delle attività produttive all’estero, al fenomeno dell’esportazione della ricchezza prodotta su conti correnti esteri ed alle imbarazzanti strategie distruttive propinate dal Ministro del Lavoro, Elsa Fornero – con il sostegno di leader come Pierferdinando Casini, Angelino Alfano e a ruota Pierluigi Bersani – per “creare precariato” con la modifica dello Statuto dei Lavoratori (Art.18). Per tacere, poi, sulla privatizzazione delle Banche Centrali europee e sul ruolo piuttosto ambiguo giocato oggi dalla Bce di Mario Draghi (vedi precedenti articoli di “Qui Europa” – Categoria “Banche e Finanza”).
L’iniziativa legislativa europea
Allora la Commissione europea, al fine di gettare un pò d’acqua sul fuoco – mentre gli stati dell’Unione, come visto, fanno i conti con la reale perdita della loro sovranità popolare e monetaria – ha promosso da oggi questo tentativo di “democraticizzare le scelte politiche” attraverso una maggiore partecipazione diretta dei cittadini. In merito, nelle scorse ore, il vicepresidente della Commissione Rapporti Interistituzionali, Maros Sefcovic, infatti, ha parlato dell’Eci – utilizzando toni probabilmente troppo trionfalistici – come di ''una espansione senza precedenti della democrazia partecipativa in Europa''. Alle parole di Sefcovic è giunta pronta l’eco di Mercedes Bresso – ex-governatrice del Piemonte, oggi presidente del Comitato delle Regioni a Bruxelles – che ha parlato di “valido sistema per ridurre la distanza tra le istituzioni e la realtà quotidiana dei cittadini”. Ma, ciò – a nostro avviso – non senza impressionanti lacune e voragini liberticide. Vediamo.
Legittimazione comunitaria
Previsto dal Trattato di Lisbona, l' European Citizens Initiatives stabilisce che raccogliendo un milione di firme si possa proporre alla Commissione Ue (che come noto, pur essendo un’istituzione sovranazionale formata da membri non votati democraticamente dai cittadini, ma bensì “nominati”, resta ad oggi l’unica istituzione dotata di diritto di iniziativa legislativa) di legiferare su un qualsiasi argomento di competenza comunitaria.
Limiti “impliciti” all’iniziativa dei cittadini
A poter lanciare l'iniziativa devono essere esclusivamente comitati di cittadini europei composti da almeno sette persone di sette diversi paesi. Non pochi, però, i paletti.1) Preventivo vaglio della Commissione: primo ostacolo, il fatto che le 'iniziative popolari' devono essere preventivamente presentate alla Commissione europea che le valuta e le registra; 2) Clausole di esclusione: sono escluse le materie non di competenza comunitaria, nonché le proposte “manifestamente offensive, frivole o contrarie ai valori dell'Unione europea”. Ora, due domande sorgono spontanee: a) Chi stabilisce i limiti di offensività e l’eventuale contrarità ai valori dell’Ue? b) Può un valore previsto dai Trattati Ue contrastare – a sua volta – con principi di libertà e tutela dei diritti “universalmente riconosciuti” anche se non contemplati nei trattati Ue? In merito va comunque ricordato che il Trattato di Lisbona è stato ratificato con il solo metodo intergovernativo, aggirando di fatto la legittimazione popolare riconosciuta in seguito alle consultazioni referendarie. Ciò dopo le sonanti bocciature intervenute in alcuni stati Ue, tra i quali l’Olanda. 3) Limiti temporali – Poi è necessario che il milione di firme sia raccolto in 12 mesi dal momento della registrazione e in almeno sette diversi paesi. 4) Limiti numerici nella raccolta – Ancora, il minimo di firme valido perché un paese possa essere ammesso è pari a 750 volte il numero di deputati che lo rappresentano nel Parlamento europeo; 5) Discrezionalità – Sull’intera procedura grava comunque l’eventuale veto della Commissione europea che, laddove i cittadini dovessero porre una questione di iniziativa legislativa particolarmente delicata ed importante, non è comunque obbligata a dar seguito alla medesima, potendo di fatto ed in maniera unilaterale opporsi alla sua esecuzione. La procedura in vigore da oggi, prevede che entro tre mesi dal raggiunto obiettivo del milione di firme, la Commissione decida se avviare l'iniziativa o meno; 6) Ricevimento del Comitato proponente – Barroso ed i suoi, inoltre, si sono riservati la facoltà di ricevere “ad appropriato livello” il comitato organizzatore che avrà, comunque – per fortuna – anche il diritto di essere ascoltato in pubblica udienza presso il Parlamento europeo. Francamente – alla luce di questa attenta analisi – l’intenzione di promozione dell’Eci ci sembra ottima, meno la definizione della procedura di attuazione: farraginosa, lenta e soggetta a troppi lacci. Sicuramente la democrazia europea chiede e merita qualcosa di più!
Sergio Basile (Copyright © 2012 Qui Europa)
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