Sabato, 9 Aprile/ 2016
– di Padre Giacobbe Elia –
Venerdì, 24 agosto / 2018
– di Sergio Basile –
Redazione Quieuropa, Sergio Basile, Marx, Marxismo, Stato, Privatizzazioni, Comunismo
Statalizzare o Privatizzare? Proprietà dei valori monetari:
unica risposta
Cos'è davvero lo Stato? Quali i suoi obiettivi storici? Esiste una Terza Via
per garantire la difesa sociale ed economica del cittadino?
La strada maestra non può che essere la riacquisizione della titolarità
dei valori monetari
di Sergio Basile
Il dilemma: privatizzare o statalizzare?
Catanzaro, Genova – di Sergio Basile – Privatizzare o statalizzare? E' questo il dilemma amletico che dopo il disastro di Genova e le responsabilità di Autostrade per l'Italia / Atlantia, della famiglia Benetton & soci, accompagna il dibattito nazional popolare di fine estate. In tutta franchezza riteniamo che i settori critici dell'economia di un Paese debbano essere garantiti e gestiti da un'autorità statale super-partes, se mai ne esista una, e comunque sottratti ai meri privati, dietro i quali spesso e volentieri si nascondono oscuri padroni, scomodi prestanome e monopolisti delle ricchezze mondiali, estranei ai concetti di benessere diffuso e bene comune. Ciò premesso un dubbio ci assale: la risposta al nostro dilemma si risolve davvero nel dualismo tra Stato e privati oppure c'è di più?
Può esistere una "terza via" che sfugge ai cronisti dell'ultim'ora tale da
garantire il cittadino sia dalle angherie stataliste che dalle distorsioni privatistiche?
Per capirlo, ed avendo abbastanza chiara l'oscura e sconveniente alleanza che dirige il capitale privato verso cartelli e tentazioni turbo-capitaliste – poco attente all'etica e vocate al massimo profitto – cerchiamo di capire l'essenza del contraltare al modello liberal-capitalista; cerchiamo cioé di focalizzare la natura e i reali obiettivi dello Stato, quell'entità che il grande prof. Giacinto Auriti definì senza mezzi termini un
"fantasma giuridico,
dietro il quale si nascondono le mangiatoie dei grandi usurai".
Per farlo andiamo direttamente al sodo, approfondendo sotto nuovi punti luce la teoria marxista.
Marxismo e significato (occulto) di Stato
L'ebreo Moses Mordekkai Levy, alias Karl Marx – 1818-1883 – insegna che lo Stato nasce in risposta all'esigenza imprescindibile di ordine e giustizia partorita "naturalmente" dal grembo di una società divisa in classi e che da quando nella società si sarebbero acuiti i dissapori tra tali classi, periodo inaugurato con gli albori dell'era industriale, sarebbe sorta l'insopprimibile necessità di un'entità giuridica sovrana ed arbitraria capace di dirimere le lotte intestine all'interno della nuova segmentazione sociale. Lo Stato, dunque, nell'era moderna, attraverso la sanguinosa sostituzione delle costituzioni massoniche alle bibbie cattoliche ed agli scettri regali, sarebbe stato fatto ascendere per acclamazione quale sacro e sommo soggetto regolatore delle relazioni tra gli attori sociali ed economici di una nazione e massimo ente "sovrano" di rilievo costituzionale. Ma alla luce della verità storica lo Stato si è rivelato soprattutto una realtà fin troppo idealizzata e mitica che, accantonando l'etica cristiana, ha innalzato l'etica neutra del puro numero, abbracciando la dittatura relativista del democratismo numerico, nel nome di un laicismo sempre più esasperato; finendo per surrogare, sostituire, le autorità monarchiche tradizionali in favore dell'ascesa dell'homo politicus laicus. La conseguenza diretta di questa rivoluzione nei rapporti di potere è stata la deresponsabilizzazione cronica dell'élite statale dinanzi ai governati, cioé dinanzi alle masse informi, illuse dalle promesse di Marx, Rousseau e Montesquieu, ricorrendo al vecchio trucco politico dello scaricabarile, figlio della dialettica hegeliana e dell'idealismo settecentesco: vizio genetico dei teatri parlamentari dello Stato democratico. Nelle società così riprogrammate dai padroni del denaro e dai filosofi, la classe che detiene il potere economico secondo la teoria marxista avrebbe avuto bisogno dello Stato come strumento per organizzare il potere politico a difesa del potere economico. Ma questo dogma falso, non importando in sé il germe della verità, è rimasto sepolto nel campo delle utopie, dietro i paraventi del comunismo e della democrazia.
Lo Stato si è dimostrato nient'altro che
lo strumento della dittatura di una classe sull'altra.
Marx sembra riconoscere questa imbarazzante ed epocale circostanza, dando l'impressione di poterla redimere, ma lo fà in maniera contorta e perversa: egli sostiene che lo Stato deve esistere solo nella misura in cui resta necessario alla supervisione della lotta di classe: conflitto, tuttavia, alimentato e mai risolto dal marxismo. Esso si sarebbe dissolto come neve al Sole, solo con l'eliminazione delle divisioni tra classi, cioé nella genesi di una nuova società di "eguali". Invero però il livellamento di cui parla Marx, senza denunciare e combattere il cancro bancario della moneta-debito, sembra condurre a parametri diametralmente opposti a quelli osannati dalle sue premesse rivoluzionarie.
Abolizione delle classi, uomini tutti uguali,
ma nella povertà e disperazione diffusa di tutti gli attori sociali.
Infatti, nel momento in cui, attraverso la confisca della sovranità monetaria, l'epidemia del debito indotto e il morbo delle privatizzazioni avallate dallo stesso organismo élitario chiamato "Stato" (e il caso Benetton-Atlantia resta davvero emblematico) i cittadini saranno espropriati dell'ultima briciola della loro libertà, ovviamente si verificherà uno "stato di dittatura" totale che vorrà certamente surclassare il tradizionale modello di Stato, verso la creazione di organismi sovranazionali sempre più totalizzanti e tirannici: vedi ad esempio l'Unione europea e i trattati intercontinentali sulla promozione della globalizzazione. Quando Marx, dunque, parlò e scrisse con enfasi del superamento del socialismo di Stato in favore della nascita della "società comunista", diceva purtroppo il vero, ma molti travisarono il senso della sua beffarda "minaccia". Oggi questo triste presagio, questa diabolica profezia si sta ormai realizzando e ne respiriamo gli effetti ogni giorno.
Lo Stato si è rivelato storicamente quel che è:
un subdolo cavallo di troia dei potentati bancari e massonici;
la cosiddetta "dittatura del proletariato" auspicata da Marx
si è rivelata in realtà ciò che è:
la dittatura dell'élite bancaria e massonica,
protesta a schiacciare gli schiavi proletarizzati,
privati di ogni diritto e proprietà e improgionati nelle gabbie patrie
del lavoro ripagato con un salario-debito.
La classe occulta
Cosa accade, dunque, quando la rivalità tra classi è fomentata da una terza oscura super-classe (i banchieri) per mezzo di un oggetto (la moneta-debito) utilizzato forzatamente da tutti gli attori della disputa? Semplice, il lento annientamento dello Stato: non più onnipotente organo costituzionale, ma struttura di accentramento di potere temporanea, soggetta ad usura programmata, per consentire il passaggio in primis dalle monarchie cattoliche alla Repubblica massonica e di scorta da quest'ultima al "Governo Mondiale" apolide e cosmopolita.
Lo Stato, dunque, può essere considerato il corridoio ideale
utilizzato dai banchieri e dai potentati anti-cristiani (la classe occulta)
per facilitare il passaggio dell'umanità
dalla libertà della società organica pre-illuministica
alla schiavitù della società hegeliana.
Marx è stato il grande traghettatore, il Caronte di questo viaggio epocale di sola andata.
Il vero volto di Marx
Ma chi è stato davvero Karl Marx e cosa rappresenta ancora oggi per la "classe occulta"? Egli, acclarato satanista dedito alle arti cabalistiche, era membro di un'organizzazione giudeo-massonica, La Lega dei Giusti, creata dagli Illuminati di Baviera, i quali, a loro volta, furono partoriti nell'humus anticristiano e sovversivo – vicino alla finanza internazionale – dei cenacoli degli Alumbrados fondati nel 1492, in occasione dell'espulsione degli ebrei dalla Spagna cattolica. Questi Alumbrados (in lingua spagnola «Illuminati») erano degli ebrei marranos, cioé battezzati cristiani pur conservando la loro fede talmudica. Nel 1848 Marx su mandato degli Illuminati di Baviera e dei Rothschild scrisse il Manifesto del Partito Comunista, affermando la necessità di cambiamenti economici e politici, ma anche l'urgenza di mutamenti morali e spirituali. Egli credeva che la famiglia dovesse essere abolita e i figli educati da un'autorità centrale asettica protesa alla distruzione di tutti i legami e retaggi del mondo cristiano. Marx attraverso il Manifesto trasfuse il Piano degli Illuminati in un programma di carattere politico-ideologico-religioso, destinato ad essere largamente accettato, sospinto dalle false premesse della rivoluzione bolscevica. Egli palesò inoltre i veri obiettivi della sua "nuova religione proletaria" ostentando il suo odio verso Dio – il sommo bene custodito in semplicità dalle umili famiglie russe – e descrivendo con violenza il suo piano di attacco:
«Dobbiamo combattere contro tutte le idee fondamentali della religione, dello Stato,
del Paese e del patriottismo.
L'idea di Dio è il punto chiave di una civiltà pervertita. Essa dev'essere distrutta».
L'nganno marxista: "dittatura del proletariato"
La "provvidenziale" dittatura del proletariato marxista fu quindi un mero specchietto per le allodole, aun'arma intellettuale di distrazione di massa, il vero oppio dei popoli. Il concetto di dittatura del proletariato fu un escamotage ideologico per confondere, sedurre e per allontanare le masse dal culto del Vero Dio, Gesù Cristo; esso fu espresso da Karl Marx e Friedrich Engels per la prima volta nel 1852, nella lettera a Weydemeyer (1) e di seguito nel 1875, nella Critica del Programma di Gotha (2). La dittatura del proletariato rappresentava quindi una fase di transizione in cui il potere politico doveva essere detenuto solo formalmente dai lavoratori (in realtà resi schiavi attraverso la moneta-debito e lo stesso lavoro ripagato con un salario-debito) verso la costruzione di una società senza classi e senza Stato (Comunismo), cioé verso la tappa finale del Nuovo Governo Globale: la tirannia mondiale dei banchieri. Infatti con la falsa "dittatura del proletariato" o falsa "dittatura rivoluzionaria del proletariato" Marx ed Engels intesero brevettare una misura politica temporanea e necessaria per realizzare la "dolce" transizione verso la dittatura del comunismo politico, derivazione del comunismo esoterico (massoneria) cioé l'ultima fase della suddetta tirannide. Il potere proletario evrebbe avuto modo di agire "liberamente", ma negli asfissianti limiti della gabbia edificata dai padroni della moneta-debito, avendo solo l'illusione di poter riorganizzare i rapporti di proprietà e produzione della società capitalista.
(1) Cfr.: Il contributo di Marx alla teoria delle classi, in Protagonisti e testi della filosofia, volume C, N. Abbagnano e G. Fornero, Paravia, 2000, pag. 356) (2) «Sebbene già nel Manifesto si parla di "interventi dispotici nel diritto di proprietà e nei rapporti borghesi di produzione", il concetto preciso di dittatura del proletariato appare solo nella già citata lettera a Weydemeyer, in cui si afferma che "la lotta delle classi necessariamente conduce alla dittatura del proletariato". L'espressione "classica" di questa teoria la si trova poi nella Critica del Programma di Gotha (1875) in cui Marx scrive che: "tra la società capitalistica e la società comunista vi è il periodo della trasformazione rivoluzionaria dell'una nell'altra. Ad esso corrisponde anche un periodo di transizione, il cui Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato". […]Secondo Marx la dittatura del proletariato è solo una misura storica di transizione (sia pure a lungo termine), che mira tuttavia al superamento di sé medesima e di ogni forma di Stato.» (da Protagonisti e testi della filosofia, volume C, N. Abbagnano e G. Fornero, Paravia, 2000, pag. 365-66)
Il "superamento dello Stato"
In questo mondo ideale "comunista" (mondialista) ai necessari interventi statalisti dispotici, come l'espropriazione della proprietà fondiaria, le requisizioni dei siti produttivi, la statalizzazione dei mezzi di produzione e del credito, e le stesse privatizzazioni di settori strategici (fra tutte ricordiamo quella delle banche centrali: Stalin privatizzò la Banca Cetrale Russa nel 1935), sarebbe subentrata la definitiva dittatura del sistema bancario nel suo complesso. La dittatura del proletariato fu concepita quindi come una fase di "poteri straordinari" ma transitoria, destinata a cessare una volta raggiunte le condizioni necessarie per la gestione comunista della società, cioé una volta eliminate le condizioni che avessero determinato la divisione in classi, tramite l'omologazione economica e spirituale forzata dei cittadini, vero il basso. Allora la dittatura del proletariato come dittatura di classe non avrebbe avuto più ragion d'essere, esattamente come lo Stato, inteso come strumento di oppressione:
tutto sarebbe stato ricapitolato nelle mani e nella volontà arbitraria
dell'élite mondialista reinventatasi in nuove strutture sovranazionali.
Questo processo avrebbe portato alla realizzazione del "superamento dello Stato"
(Aufhebung des Staates)
ed alla sua progressiva estinzione, condizione necessaria per il comunismo.
1989: fine del comunismo?
Secondo la scuola stalinista, la dittatura del proletariato ha avuto la sua realizzazione storica nell'Unione Sovietica e nei suoi paesi satelliti, nel periodo dal 1917 al 1989. In realtà il 1989 non segnò affatto la fine dell'esperimento social-comunista; al contrariò coincise con l'esportazione dell'ideale comunista in tutte le nazioni della Terra, nascosto sotto nuovi vessilli e bandiere.
Con la Caduta del Muro di Berlino e successivo rafforzamento dell'Ue,
sulla scorta di una presunta, concordata e fittizia dissoluzione del regime comunista,
si ingenerò nell'opinione pubblica europea e mondiale la falsa consapevolezza
che il comunismo si fosse sgretolato.
Esso al contrario intensificò il suo intreccio occulto
con il neoliberismo e con il turbo-capitalismo,
attraverso l'implementazione a vasto raggio del "metodo democratico"
esportato in tutto il mondo attraverso i facili entusiasmi delle nuove ideologie pacifiste,
oppure, spesso e volentieri, con la violenza della guerra e i paraventi
delle "rivoluzioni colorate" e "primavere arabe".
La sintesi del dibattito tra statalisti e privatizzatori
L'orizzonte fotografato, fosco e grigio, restituisce una nuova luce e prospettiva alle espressioni "privatizzare" e "statalizzare". In assenza di sovranità monetaria, esse restano due verbi infiniti assonanti, privi di verità etica ed incapaci di soddisfare esaustivamente le premesse e domande iniziali del dibattito. Urge comprenderlo e creare strumenti che oltre l'evanescenza dei fantasmi giuridici delle grandi holding e dei grandi stati sociali, facilitino davvero il passaggio del diritto reale e del potere monetario reale (e dei contestuali valori monetari) dalle mani delle élite a quelle dei cittadini. Oggi, sulla scorta del tesoro sepolto della Dottrina Sociale della Chiesa e della scoperta auritiana del Valore Indotto della Moneta (gli strumenti monetari e/o buoni hanno valore semplicemente perché vengono riconosciuti ed accettati sulla base di una mera convenzione sociale), esiste uno strumento che consente questo, si chiama
B.A.R., Buono Comunale di Agevolazione Reddituale,
non è una moneta, ma accresce il potere d'acquisto di famiglie e imprese
con semplicità,
neutralizzando gli effetti distorsivi, inflazionistici e recessivi dell'euro,
e proteggendo le comunità sociali sia dall'invadenza statalista
che dalle astuzie ed angherie privatistiche.
La sintesi ideale del dibattito tra privatizzatori e statalisti dovrebbe orientarsi su questa priorità, anziché perdersi in giochi di potere e falsi dogmi che parlano sempre e solo il linguaggio degli schiavi: il linguaggio delle grandi mangiatoie e del debito inestinguibile.
Sergio Basile (Copyright © 2018 Qui Europa)
partecipa al dibattito: infounicz.europa@gmail.com
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Video correlato – B.A.R. e sovranità monetaria
►Intervista B.A.R. Sergio Basile e Nicola Arena – YouTube
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