Sabato, Maggio 23rd, 2015
– di Sergio Basile –
Roma, Bruxelles – di Roberto Pecchioli – La semplice, definitiva risposta di Gesù ai discepoli che gli chiedevano come distinguere i buoni cristiani, è la chiave di lettura per giudicare la portata nemica dell’immenso baraccone europoide. Chi preleva il denaro ed impone la tassazione, è il vero detentore del potere: vale per le mafie, per il bulimico fisco italiano, vale ancor più per l’Unione Europea. L’apparato nemico di dominazione dei popoli del continente ha bisogno di quattrini, tanti, per alimentare se stesso ( la paretiana persistenza degli aggregati..) , ancor più per affermare un potere assoluto, opaco, incontrollato. Le tre principali fonti di finanziamento a carico dei cittadini sono i dazi doganali ( ribattezzati “risorse proprie”, forse a significare la natura padronale dell’Unione), una percentuale-pizzo sull’imponibile IVA degli Stati ed una quota del Reddito Nazionale Lordo, ovvero del PIL di ciascuno Stato più la somma algebrica di ogni reddito percepito o conferito all’estero dalle persone fisiche o giuridiche residenti.
Il sistema delle cosiddette "risorse proprie"
Davvero istruttivo è il sistema delle risorse proprie. Come detto, altro non sono che i vecchi dazi doganali, cioè le somme che gli Stati pretendono per autorizzare l’importazione delle merci. Nonostante il sistema mondialista lavori con successo da decenni per abolire del tutto i dazi, in nome delle superstizioni liberiste, nel corrente anno i dazi “contabilizzati “ (attenti alle parole!) in Italia supereranno probabilmente i due miliardi e mezzo di euro, cinquemila miliardi del vecchio conio. Ebbene, l’ottanta per cento di tale somma prende istantaneamente la strada di Bruxelles, mentre a noi resta un modesto aggio del venti per cento a "risarcimento dei costi di riscossione". Fino al maggio 2014, la percentuale era del 25%, e la riduzione , che per l’Italia significa almeno cento milioni annui di perdita, è stata deliberata con effetto retroattivo, in spregio agli antiquati principi giuridici che lo vietano.
Il sistema "europeista" di contabilizzazione dei dazi
Il bello è che la contabilizzazione dei dazi, ed il loro rapido volo sui conti dell’Unione, DEVE avvenire anche se le somme non vengono davvero riscosse…. Mi spiego: l’Unione pretende somme accertate, e si disinteressa del piccolo particolare della riscossione. Se, per qualunque motivo, gli Stati non riescono ad incassare, fatti loro. Bruxelles vuole la sua parte, un modico 80 per cento, subito. E per subito si intende entro giorni DUE dall’individuazione del debito e del debitore. In difetto, scattano interessi a carico dallo Stato e, nei casi più gravi, salate multe. Tutto, ovviamente, prelevati all’ignaro contribuente, già alle prese con Tasi, Tari, Irpef, Equitalia , F24 ed altri balzelli . In molti casi, ed è fisiologico, la pretesa tributaria dello Stato non si rivela fondata; per questo esistono, nella lingua di legno di giuristi, legulei e pagliette, “i rimedi amministrativi e giurisdizionali”. In altre circostanze, risulta impossibile la riscossione, nonostante l’aggressività ingorda dei gentiluomini di Equitalia. Non importa, Bruxelles vuole comunque i “suoi” soldi. E poiché da quelle parti, ”il Re prende nota di tutte le loro intenzioni con mezzi che nemmeno possono immaginare” (il buon vecchio Shakespeare) , esercita un’occhiuta vigilanza su ogni frode doganale dell’universo mondo.
La revisione dell'accertamento
Ha infatti a disposizione un non tanto piccolo e ben pagato esercito di funzionari dell’OLAF (funzionari dell'Ufficio Antifrode: sono 435 e – stando al sito ufficiale – costano circa 60 milioni annui) che indagano sulle frodi che possono nuocere agli interessi fiscali dell’Unione. Costoro girano il mondo, specie i Paesi destinatari di benefici doganali per l’esportazione nella Comunità, e rilevano spesso irregolarità e autentiche truffe. Dal loro lavoro derivano informazioni agli Stati che impegnano a rivedere ( si chiama revisione dell’accertamento) tutte le importazioni dell’ultimo triennio riguardanti le merci, gli operatori o gli Stati presuntamente coinvolti. Al termine delle procedure, moltissime aziende si vedono recapitare richieste di somme ingentissime, con IVA, interessi e sanzioni, quando non denunce penali. Gli Stati contabilizzano, l’Unione prende i soldi e scappa, ed il cerino resta in mano a chi deve pagare ed a chi deve riscuotere.
Paga lo Stato e l'UE incassa comunque
E poiché ci sono molti giudici a Berlino, ma anche ad Isernia, Gorizia ed in tante altre città, molte volte, dopo anni di battaglie giudiziarie che fanno la felicità di avvocati e consulenti, risulta che le pretese tributarie che l’OLAF ha innescato non erano fondate. Nessun problema, paga lo Stato, e l’Unione incassa comunque. C’è di più, ed è una specie di eterogenesi dei fini giuridici e fiscali: qualora la frode sia vera, ma non fosse a conoscenza degli importatori, resta la contabilizzazione, ma non si procede alla riscossione. Insomma il banco, quello di lorsignori, vince sempre. E buon per gli importatori onesti che una pronuncia della Corte di Giustizia dell’Aja – altro organo comunitario – con la famosa sentenza Beestemboer, ha fatto giustizia a vantaggio di chi, senza colpa, ha utilizzato documenti esteri risultati ideologicamente falsi o inesatti. Insomma, ci troviamo dinanzi ad un gioco che gioco non è; un gioco in cui perdono tutti – operatori, contribuenti, erari nazionali – e vince uno solo, il leviatano comunitario.
Libera volpe in libero pollaio
L’Unione, inoltre, sorveglia i propri interessi con frequenti ispezioni, si chiamano esotericamente Audit, per cui le amministrazioni di Stati formalmente sovrani devono rispondere del loro operato a funzionari stranieri! Per le irregolarità legate al transito nella comunità di merci estere, il sistema riesce ad essere ancora più perverso. Infatti, sempre per aderire al sacro principio di libera circolazione delle merci, libera volpe in libero pollaio, le relative dichiarazioni doganali non contengono il valore delle merci e la loro qualità in base alla tariffa doganale cui devono essere assoggettate, talché nei frequenti casi di contrabbando è molto difficile procedere ad un corretto accertamento. Non importa, l’Unione, trascorsi dieci mesi, pretende la sua parte: altre contabilizzazioni, non di rado altri contenziosi, altre riscossioni mancate, ma il tesoretto di Bruxelles è comunque al sicuro. Paga Pantalone, anche se in misura minore che all’importazione, giacché in questi casi è depositata una garanzia.
Io sono coriolano…
Aneddotico è il caso delle spedizioni soggette a furto, ma in questo caso l’ Europa c’entra poco, per le quali i diritti devono comunque essere pagati in base alla presunzione di contrabbando, da chi lo ha subito, il quale, talvolta, si vede appioppare anche la sanzione amministrativa, specialità questa, tutta italiana. Persino comica è l’impari battaglia contro il diffuso fenomeno della sottofatturazione, che le autorità nazionali conducono praticamente disarmate, giacché il vangelo europoide in materia prescrive che il valore di transazione è quello risultante dai documenti commerciali, il che è una splendida tautologia, giacché io sono Coriolano perché affermo di chiamarmi così!
Nessuna difesa
In tutto questo, non esiste difesa, se non quella, individuale, costosa ed aleatoria, di chi viene aggredito da pesanti accertamenti, in cui lo Stato nazionale è a sua volta costretto ad agire da iniziative o informative comunitarie non sempre sostenute dal fumus boni iuris, cioè dalla ragione, come scrivono ancora nei loro criptici ricorsi e controricorsi i sacerdoti del diritto, “con vittoria delle spese". Essenziale è non privare l’ingorda macchina comunitaria di alcuna parte e persino briciola del ricco companatico che divora alla faccia di tutti. Viene in mente l’argomento di Trasimaco nella Repubblica di Platone. Trasimaco, mediocre filosofo sofista, teorizzava l’essenza ultima della sovranità come puro imperio. A suo dire, essa non coincide con il potere di definire ed affermare la giustizia ed il bene comune, istituire, rappresentare e difendere i valori di un popolo, ma si esprime e vale come puro diritto del più forte.
"Auctoritasm non veritas, facit legem"
Vale l’affermazione di Hobbes, secondo cui “auctoritas, non veritas, facit legem”. E’ dunque ben chiaro chi possiede la sovranità e chi esercita l’autorità, con buona pace dei fiumi di retorica in cui è avvolta la ferrea ideologia europea. Non esiste difesa, allo stato attuale, e cercherò di spiegarne in breve ragioni, tappe e tecnicismi in un prossimo intervento sulle istituzioni e gli strumenti giuridici che hanno distrutto la nostra sovranità, a partire dalla sentenza Costa contro Enel del lontano 1964 dinanzi alla Corte di Giustizia di quella che allora era un semplice mercato comune di sei Stati, del ruolo della Commissione UE e dei suoi strumenti di dominio, regolamenti comunitari, direttive, decisioni ed il resto delle armi di carta bollata puntate contro di noi e contro ciò che resta degli Stati. Coriolano.
Roberto Pecchioli (Copyright Qui Europa © 2016)
Partecipa al dibattito – Redazione Quieuropa – infounicz.europa@gmail.com
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