Sabato, Agosto 31th/ 2013
– di Sergio Basile e Edina Karossy –
Mercoledì, Marzo 27th/ 2013
– L'Editoriale di Ylenia De Marco e Sergio Basile –
Il Declino del "Made in Italy": dall'euro alle "ricette
dei profeti del Liberismo"
Un Nuovo modo di fare shopping: dalla rete, al market sotto casa.
L'Analisi di "Qui Europa" e il "Modello Catanzaro"
L'Editoriale di Sergio Basile e Ylenia De Marco
Un luogo comune chiamato "Crisi Economica"
Roma, Catanzaro – Ormai l'ingannevole espressione "crisi economica" è entrata a far parte del nostro quotidiano, grazie soprattutto all'incessante martellamento mediatico dei TG: media che – per contro – non dicono assolutamente nulla sul reale motivo del declino dell'Italia, cioè sulla "Truffa dell'Eurozona", ma ci suggeriscono addirittura metodi "alternativi" protesi ad una lenta ed inesorabile decrescita verso il baratro. Molti la chiamano "Decrescita Felice" (Vedi articolo in allegato – Ecco perchè non crediamo alla Teoria della Decrescita Felice).
Eurozona: la tempesta perfetta nel mare del liberismo
Eurozona che fin dal 2002, dietro il paravento di un presunto "benessere economico" profetizzato dai padrini della moneta unica (vedi Romano Prodi) ci ha costretto ad accettare "allegramente" un tasso d'inflazione pari al 100%, comprimendo drasticamente fin da allora il livello dei consumi. Altro che crisi internazionali e contagi! Questa è stata una truffa, e continua ad esserlo! Mentre a Roma si discute e litiga ancora per le poltrone e i "figli del porcellum" (senza essersi dati una legge elettorale seria, hanno gettato il Paese in uno stato di strategica, quanto anacronistica sospensione democratica) è ormai all’ordine del giorno vedere apposte sulle vetrine dei negozi e sulle saracinesche serrate delle attività commerciali più disparate la scritta “vendesi". Ciò accade anche per quegli esercizi fino a ieri considerati solidissimi e per quelle aziende leader nei rispettivi settori. Sono circa 1000 le società che ogni giorno chiudono o falliscono. Secondo una recente indagine Istat, ne chiuderebbe una ogni 5 minuti.
I Parchi Commerciali e il "Modello Catanzaro"
Accanto alla tempesta dell'Eurozona (alimentata a dovere dal Sistema Target2 – Vedi allegato) uno dei fenomeni più preoccupanti di questa deriva liberista è, in aggiunta, la proliferazione di parchi commerciali di ogni sorta, che sorgono come funghi quasi in ogni angolo delle città. Esempio emblematico – nel Sud Italia – è il capoluogo della regione Calabria, Catanzaro: il centro storico e il corso sono sempre più vuoti, mentre il cuore pulsante della città batte ormai all'interrno dei suddetti poli commerciali, a discapito delle attività storiche del centro e ad vantaggio di multinazionali come Decathlon, Mediaworld e Auchan. Colossi commerciali esteri che tra l'altro – spesso e volentieri – non versano allo Stato neanche un euro di IVA, corrisposta al 4% negli stati – come il Lussemburgo – ospitanti le sedi legali delle medesime società (Vedi Auchan).
Il Paradiso delle lobby e l'altra crisi
Ma se da una parte i parchi commerciali sono luoghi di svago e di divertimento viste le varie attività che offrono al loro interno, dall’altra – dunque – vanno a contrastare con la sopravvivenza dei piccoli distributori. Un tempo era piacevole fare la spesa nel market sotto casa o passare dal fruttivendolo o dal pescivendolo di fiducia per farsi consigliare la "roba più fresca". C'era un qualcosa di quasi poetico e familiare in tutto ciò. Oggi invece si preferisce comprare qualsiasi cosa, dal genere alimentare ai prodotti di igiene domestica o personale, nei supermercati “sottocosto” come i discount. Si pensi alla tedesca "Eurospin", che col pretesto della crisi indotta dell'Eurozona ha moltiplicato i propri fatturati lanciandosi con successo in una sorta di colonizzazione del mercato italiano, a discapito del "Made in Italy". Una famiglia composta da più di tre persone difficilmente riesce ad arrivare a fine mese, considerando il fatto che il più delle volte è solo il capo famiglia a lavorare e a mantenere la moglie e la prole. Per illudersi di contrastare la crisi si preferisce dunque la quantità alla qualità, cosa che alcune volte va a discapito della propria salute fisica. Si pensi al successo del Made in China ed alla vendita di massa di prodotti spesso cancerogeni realizzati con materie prime contaminate o scarti di lavorazioni chimiche altamente nocivi (Vedi articolo in allegato – Cina: I Villaggi del Cancro).
Italia – Siamo finiti nella Rete
Con le nuove tecnologie poi, è facile acquistare tutto tramite internet e spesso basta un click per avere in pochi giorni a casa un nuovo paio di scarpe o un intero guardaroba. Il punto principale – come nota anche Confesercenti – e che solo nei primi mesi del 2013 in Italia hanno chiuso quasi 10.000 negozi e il trend – come detto – va peggiorando. Altro che crescita! Inoltre c'è da dire come la scomparsa dei piccoli distributori vada ad incidere negativamente sui processi concorrenziali. Minori sono gli attori commerciali in uno specifica area geografica, maggiore potrebbe essere la tentazione ad alzare i prezzi, operando in regimi di mercato di "quasi monopolio". Le statistiche parlano chiaro: se al Sud il fenomeno in questione è più contenuto, vista la "mentalità meridionale" che vede in genere passare il testimone delle piccole attività familiari di generazione in generazione, dal bisnonno al pronipote; al Nord e al Centro invece si registrano sconcertanti cali nell’apertura di nuove attività commerciali con crolli del 50%. Se da una parte è vero che acquistare su un sito internet permette di risparmiare tempo e denaro, è anche vero che non è possibile carpire tramite una foto la qualità di un prodotto, in quanto vengono meno fattori primari nell’acqusto come la vestibilità di un capo e la qualità del tessuto che non possiamo toccare con mano. Ma anche i profumi, gli aromi, la densità ed i colori: si pensi ad esempio alla vendita on-line di generi alimentari essenziali come il vino e l'olio d'oliva. Molti siti spacciano prodotti per biologici vendendoli magari a 3 euro al litro, bottiglia compresa. Ma siamo matti! Mi chiedo dove andremo se continueremo indefessamente a perseverare in questo nuovo modo di fare shopping; o se continueremo ad accontentarci di un cibo sottomarca che nella maggiorparte dei casi non soddisferà le nostre esigenze, invece di aiutarci l’un l’altro ritornando ai vecchi tempi, e magari tornando a coltivare sia i nostri orti, che i "rapporti umani" coi nostri simili, nei market sotto casa.
Ylenia De Marco, Sergio Basile (Copyright © 2013 Qui Europa)
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